Contributo presentato dall’Associazione Medici Cattolici Italiani, all’audizione presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, riunita per esaminare la proposta di legge presentata per iniziativa dei Deputati Zan, Annibali, Bersani e altri, recante disposizioni in materia di contrasto all’omofobia e alla transfobia.

Prof. Filippo M. Boscia, 

Presidente  Nazionale AMCI e Presidente Onorario SIBCE

La proposta di legge oggi in discussione a nostro avviso si inquadra in una mera prospettiva ideologica del tutto inutile sul piano legale, poiché gli omosessuali e transessuali già godono degli strumenti giuridici previsti dal codice penale per tutti i cittadini (e quindi anche per loro), contro qualsiasi forma di ingiusta discriminazione, violenza e offesa alla propria dignità personale.

E’ proprio l’art. 3 della Costituzione Italiana che recita testualmente che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali”.

Sesso e condizioni personali sono già quindi contemplate dalla Costituzione come elementi specifici rispetto ai quali non sono ammissibili altre forme di discriminazione.

La protezione specifica, voluta dal pdl Zan, a nostro avviso non è né utile né necessaria, anzi creerebbe discriminazione sia in questo che in tanti altri casi non menzionati, oltretutto perché oggi in Italia l’emergenza omofobica e trans fobica, riportata in premessa dal pdl, è del tutto inesistente.

A noi non pare che in Italia, nella nostra contemporaneità, il problema dei problemi sia proprio l’omofobia.

Indicare l’omosessualità e la transessualità quali valori collettivi da tutelare in sé attraverso una tutela speciale per i soggetti che ne sono portatori è evento giuridicamente infondato perché tra l’altro analoga protezione potrebbe o dovrebbe essere invocata da una serie infinita di soggetti in ragione di specifiche proprie condizioni personali. Con il pdl in discussione, si va a richiedere un ampliamento delle garanzie giuridiche, peraltro già esistenti, che sicuramente potrebbe avere l’effetto paradossale di sconvolgere e rovesciare l’ordine etico della società umana e produrre una “Summa lex summa iniuria”

Vorrei riportare in proposito, e fare miei, gli editoriali  dal titolo “1/Gli errori della legge anti-omofobia – 2/Regolare le convinzioni morali è un vizio” pubblicati il 3 e il 10 agosto 2013, qualche tempo fa, sul Corriere della Sera da Piero Ostellino, giornalista di estrazione laica e liberale: “Non riesco a capire perché picchiare un omosessuale sarebbe un aggravante, mentre picchiare me – che sono un essere umano senza particolarità selettive e distintive – sarebbe meno grave. Picchiare qualcuno è un reato! Punto e basta! E dovrebbe bastare”

Le norme proposte mirano in realtà ad introdurre attraverso la forza pedagogica della legge il concetto che omosessualità e transessualità non siano, come di fatto sono, condizioni naturali da considerarsi paritarie rispetto all’eterosessualità: qui esiste una discriminazione all’incontrario, ovvero che l’omosessualità e la transessualità meritino un plus valore a livello giuridico, un quid aggiuntivo a livello di tutela legale! 

Qual è la motivazione per cui l’eterosessualità non debba avere la medesima attenzione? 

Allora forse si vogliono introdurre nuove forme di reato? E cioè i concetti di omofobia e transfobia, che oltretutto non vengono nemmeno definiti nella loro essenza?  Allora dovremmo anche per par condicio introdurre il reato di eterofobia?

Nessuna legge dell’ordinamento giuridico italiano definisce i concetti di omofobia e transfobia.

Nessuna Alta Corte o Magistrato ne ha mai definito i concetti.

Non esiste una definizione normativa di caso riferibile ad omofobia o trans fobia, nè vorremmo che queste definizioni fossero lasciate all’arbitrio di giudici che, a volte e non di rado, esondano dai loro compiti.

Si correrebbe il rischio di creare una sorta di “reato giurisprudenziale”

il cui contenuto percettivo è rimesso all’Autorità giudiziaria, chiamata a pronunciarsi sul singolo caso con buona pace del principio di oggettività del reato.

Omofobia e transfobia sono definizioni tassonomiche non espresse, sono concetti troppo indeterminati e questo già basterebbe a sostenere la decadenza di questa proposta di legge.

Infatti come è possibile fare una legge utilizzando definizioni vaghe?

La proposta di legge si richiama allo strumento normativo della cosiddetta legge Mancino, “recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”, ovvero si richiama ad una legge italiana che condanna gesti, azioni e slogan collegati a leggi nazifascista e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.

La ratio delle norme della legge Mancino è quella di assicurare la convivenza pacifica tra gruppi divisi da forti sistemi di pensiero che non escludono il senso religioso.

L’aver associato il pdl in discussione alla legge Mancino, è uno degli errori più gravi! Dov’è la diffusa ostilità e il clima oggettivamente persecutorio se non nella sapiente orchestrazione che vuole porre paradossalmente il fenomeno omosessuale  al centro dell’interesse politico in una società che va sempre più disarmandosi dal punto di vista culturale? Mai prima d’ora il sistema sociale è stato così mutevole e complesso: la globalizzazione ci ha condotto ad una omologazione cultuale senza pari e non solo! La pandemia da Coronavirus ne è stato uno degli effetti più devastanti.

L’evoluzione biotecnologica e l’ingegneria genetica hanno fatto il resto, atteso che oggi si rende possibile una riproduzione senza sessualità e sono attuabili, vendita o scambi di spermatozoi, prestiti o acquisti di gameti maschili e femminili, definiti impropriamente doni! E non solo! Si è già giunti a prestiti o sfruttamenti di uteri, selezioni e clonazioni naturali, mentre il corpo considerato da sempre come un dato che la natura ci assegna insindacabilmente, è diventato una semplice materia prima su cui è possibile intervenire con manipolazioni sempre più sostanziali.

Oggi Biologia, Chirurgia Plastica e Medicina, accanto a Farmacologia e Farmacogenetica   fanno a gara nel prospettare più vaste zone d’ombra in cui scienziati, medici, giuristi, al pari di analfabeti, chierici e laici, tutti parimenti si smarriscono, invocandosi una Medicina del desiderio, sicchè Medicina e  Diritto ne escono disorientati (Mappa Mundi di D. De Masi).

Con questo pdl potrà anche essere considerato omofobo, comportamento da punire penalmente, anche l’informativa didattico-scientifica di uno scienziato o di un privato cittadino o di un professore universitario come me, che nella sua qualità di docente di Fisiopatologia della riproduzione umana, trasmette un sapere scientificamente validato. Mi rendo ancora più chiaro ed esplicito: se nel corso della mia didattica formativa dovessi affermare che il ricorso alla PMA eterologa o l’acquisto o la commercializzazione dei gameti o l’affitto dell’utero sono di fatto atti pur possibili, ma assolutamente contrari alla fisiologia naturale che è disposta dalla legge di natura, ossia che trattasi di atti contrari a quella complementarietà affettiva e sessuale che la generatività naturale comporta, dovrei essere perseguibile? E forse sarei ugualmente penalmente punibile o perseguibile anch’io, se parlando di generazione umana, andassi a sottolineare l’ovvietà del naturale generare umano, ossia se didatticamente comunicassi che “per una nascita occorre un gamete maschile che deve congiungersi con un gamete femminile, ovvero che per la nascita occorrono un maschio e una femmina, ossia un padre e una madre?” Certamente, ovviamente! Maschio e femmina uniti da complementarietà affettiva e sessuale sono indispensabili per la naturalità della riproduzione.

Mi sovviene, a proposito di complementarietà, quanto leggevo in questi giorni in un manuale sulle componenti  biologiche della com-passione: “L’ossitocina nella genitorialità umana e nella cura”. In una serie di studi molto interessanti, Feldman e i suoi colleghi hanno esaminato l’azione dell’ossitocina nella maternità e nella paternità dell’essere umano. Questi ricercatori, ad esempio, hanno misurato l’ossitocina plasmatica in 62 donne in gravidanza nel primo e terzo trimestre e successivamente nel primo mese post-partum, ed hanno anche analizzato l’interazione madre-bambino. In queste interazioni hanno valutato gli indicatori positivi della maternità sensibile e reattiva, come ad esempio la madre che concentra il suo sguardo principalmente sul bambino, il mantenimento da parte della madre di un tocco affettuoso e stimolante e il suo adattamento alle attivazioni emotive del bambino e l’uso materno di un linguaggio infantile per interagire col figlio. Livelli più elevati di ossitocina nel primo trimestre hanno previsto un coinvolgimento in comportamenti relazionali più positivi e sensibili dopo il parto. Inoltre, livelli più elevati di ossitocina durante la gravidanza e il primo mese postpartum sono risultati associati a pensieri e monitoraggi rivolti al bambino più frequenti (Feldman et al., 2007). Inoltre, un aumento dell’ossitocina plasmatica dal primo al terzo trimestre è stato associato al legame materno con il figlio durante il terzo trimestre, riflettendo l’evoluzione di un legame premuroso tra madre e bambino (Levine et al., 2007). Tali effetti dell’ossitocina sono stati dimostrati anche nelle madri adottive, i cui livelli di ossitocina erano associati alle espressioni di gioia comportamentale nei confronti dei loro figli a due e cinque mesi (Bick, et al., 2013).

Riem et al. (2011) hanno scoperto che la somministrazione di ossitocina alle madri ha aumentato l’attivazione nelle reti relative all’empatia. Ha anche ridotto l’attivazione dell’amigdala (un’area del cervello associata a paura, ansia ed evitamento) in risposta al pianto del bambino, probabilmente riflettendo gli effetti calmanti e ansiolitici di ossitocina nell’amigdala e il suo coinvolgimento nella promozione dell’empatia.

Il coinvolgimento materno nella cura è quasi obbligatorio, ma la cura paterna è facoltativa e viene osservata come un impegno attivo solo dal 3% al 5% delle specie di mammiferi (Geary, 2000). In queste specie, la cura del padre mostra una serie di variazioni rispetto alla cura della madre e tale coinvolgimento sembra migliorare la sopravvivenza, la crescita e la prosperità del figlio offrendo cure che integrano le cure della madre. Quindi, nelle specie che vedono il coinvolgimento di entrambi i genitori, madri e padri esibiscono un co-evoluto repertorio di comportamenti genitoriali specifico rispetto al genere (Carter et al., 2005). Ad esempio, le madri umane preferiscono posizioni faccia a faccia e mostrano un repertorio affettuoso materno che coinvolge il contatto e il contatto, in cui la sincronia genitore-bambino è ritmica e socialmente focalizzata (Feldman et al., 2007). Al contrario, i padri umani tendono a impegnarsi in interazioni che inducono un’eccitazione positiva elevata, un focus esplorativo e un contatto agitato, con una sincronia che è orientata verso l’esterno e contiene picchi rapidi e imprevedibili di eccitazione positiva (Lamb, 2010). Sembra quindi che gli stili di cura delle madri e dei padri si siano evoluti per offrire esperienze genitore-figlio distinte che preparano i bambini alle diverse sfide. Le madri stabiliscono un senso di prevedibilità e sicurezza, mentre i padri si preparano per la novità e l’eccitazione; entrambi i componenti sono necessari per prosperare.

Numerosi studi hanno esaminato il ruolo dei neuropeptidi nella cura paterna umana. Ad esempio, in linea con le aspettative per le diverse cure materne e paterne, in uno studio che ha valutato 80 coppie e i loro primogeniti (Gordon et al., 2010a), l’ossitocina plasmatica nelle madri e nei padri è risultata associata a diversi tipi di comportamenti assistenziali, almeno durante i primi mesi. L’ossitocina nelle madri era correlata al repertorio affettivo sociale, incluso lo sguardo materno, l’affetto, le vocalizzazioni e i tocchi affettuosi mentre l’ossitocina nel padre era associata a giochi stimolatori orientati agli oggetti, che consistevano in eccitazione positiva, esplorazione di oggetti e tocco stimolante. In un altro studio su 112 madri e padri (non coppie) e sui loro figli dai 4 ai 6 mesi, le madri che hanno fornito alti livelli di tocco affettuoso hanno mostrato un aumento dell’ossitocina salivare dalla pre alla post-interazione, mentre i padri hanno mostrato un tale aumento quando hanno fornito alti livelli di contatto stimolatorio (Feldman et al., 2010). Nello stesso campione, i livelli plasmatici e di saliva di ossitocina nelle madri e nei padri sono risultati associati all’impegno sociale, alla sincronia affettiva e alla sequenza di comunicazioni positive tra genitori e figli (Feldman, Gordon e Zagoory-Sharon, 2010, 2011).

In una bella dimostrazione del ruolo causale dell’ossitocina nella cura paterna, la somministrazione intranasale in uno studio sperimentale in doppio cieco ha mostrato che, dopo l’inalazione, l’ossitocina presente nella saliva dei soggetti è aumentata notevolmente, e hanno mostrato un contatto fisico più frequente e una durata più lunga del comportamento relazionale (recensione di Feldman, 2012). Effetti simili sono stati osservati in uno studio di Naber, van IJzendoorn, Deschamps, van Engeland e Bakermans-Kranenburg (2010), dove la somministrazione intranasale di ossitocina in un esperimento in doppio cieco ha aumentato la reattività osservata dei padri durante il gioco con i loro figli rispetto ai padri del gruppo di controllo che hanno inalato un placebo. 

Pertanto, sia nelle madri che nei padri, livelli regolari di ossitocina si sono dimostrati associati a cure sensibili e sincronizzate con le necessità dei figli. Inoltre, sia nelle madri che nei padri, l’aumento dei livelli di ossitocina attraverso la somministrazione ha contribuito a cure più sensibili e sincronizzate; allo stesso modo, l’impegno nei comportamenti di cura sincronizzati, a sua volta, ha anche aumentato i livelli di ossitocina.

Un altro studio ha dimostrato che alcuni di questi neuropeptidi possono avere effetti simili su madri e padri. Sebbene le madri offrissero un contatto più affettuoso, e i padri fornissero un contatto più stimolante con i loro figli di 4-6 mesi, livelli elevati di ossitocina erano associati a un contatto più affettuoso sia nelle madri che nei padri.

Forse ci siamo bucati il cervello? Forse si vuole discriminare o punire per il reato di istigazione alla discriminazione colui che si presenta alla didattica con dati scientifici inoppugnabili, non con convincimenti ebeti, o peggio ancora con opinioni riconducibili alla banalizzazione di un pluralismo delle idee che nulla ha a che fare con la fisiologia medica coincidente con l’essere uomo e donna? 

O saremo condotti per il futuro a sudditanze culturali, ideologiche o politiche? O stiamo chiedendo interventi legislativi che possano determinare arbitrari o diseguali trattamenti privilegiati per categorie di persone che, pur tutti assolutamente rispettabili, e sempre e comunque rispettabili, inalberano i loro personali comportamenti asserendoli come valori assoluti  per la società?

Credo che un sistema che garantisca ad ogni quivis de populo ogni arbitraria previsione mina le fondamenta di un intero ordinamento.

Con le norme che si intendono proporre non si puniscono comportamenti che mettono in pericolo categorie particolari di persone, semmai si reprimono esigenze educative e culturali altrui.

Quella che si vuole del tutto punire, inserendo tra i reati di discriminazione i termini omofobia e transfobia è la stessa libertà di pensiero, ancor prima della sua manifestazione.

Siamo allo “psicoreato”! Anche noi medici ed educatori potremo imbatterci in uno “psicoreato” ogni volta che useremo elaborare un pensiero favorente o favorevole alla naturalità della riproduzione o ogni volta che ci spenderemo per riproporre il rispetto delle differenze in medicina di genere.

Nel tempo del Coronavirus abbiamo registrato una full immersion di autocoscienza nelle pagine dei giornali, nelle trasmissioni televisive, nelle nostre conversazioni via telefono, chat e video, letteralmente impregnate dal Covid-19 e di statistiche.

In tutti i dati statistici le parole maschio, femmina e ventilazione forzata sono state dispensate a gogo, senza che nessuno venisse fuori a contestare lo psicoreato di omofobia e transfobia.

Assuntina Morresi, nella prima parte di un suo articolo editoriale apparso  su “L’Occidentale” del 3 Aprile 2020,  da me totalmente condiviso, così riportava:  

“Alcuni segnali di cambiamento già cominciamo a vederli adesso, e chi legge scuserà il tono caustico che forse scapperà, o magari la battutaccia: al tempo delle giornate senza tempo, quando sai che la palla grigia a punte rosse potrebbe scegliere te in un momento di distrazione – magari gratti il naso dopo aver tolto il cartone della pizza, quello che avevi preso al supermercato con i guanti ma poi maneggi a casa a mani nude – ecco, diciamo che con questa palla di Damocle sulla testa qualche cedimento all’ironia ce lo possiamo permettere. 

Sì è proprio vero! Occorre soffrire e soffrire molto per avere paura ed imporsi

E diciamoli questi segnali, che sono innanzitutto un grande ripasso di bioetica.

Il primo. Abbiamo riscoperto che esistono i maschi e le femmine. E basta. E sui giornali adesso è tutto uno spiegare che XX è diverso da XY, e pure gli ormoni, e pure le difese immunitarie, e la resistenza, e chi più ne ha più ne metta: mai viste tante differenze scientificamente spiegate dagli stessi che fino a un mese fa ci spiegavano quanto era costruita e stereotipata questa sciocca, noiosa, arcaica idea che esistono solo maschi e femmine. Adesso invece è assodato che nella pandemia i maschi muoiono più delle femmine, che si possono distinguere e addirittura contare, e nessuno si sente discriminato, e gli LGBT non protestano, e i transgender neppure, e manco tutti gli altri 57 generi perché la palla grigia con le punte rosse solo maschi e femmine capisce, solo due sessi riconosce. E così pure i virologi, e gli epidemiologi, quelli della protezione civile, i politici, l’OMS, e i giornalisti, e i lettori, e i commentatori, tutti quanti insomma, hanno ben chiaro che maschi e femmine siamo. Punto e basta. Che ne sia di tutto lo spettro delle identità di genere di fronte al Covid-19 non è dato sapere, e nessuno ha sollevato il problema, e pare proprio che a nessuno gliene freghi più granché.

A proposito della complementarietà del sesso maschile e del sesso femminile, è importante citare la recente sentenza della Corte di Cassazione della Repubblica Italiana – I Sezione Civile, relativa alla presunta filiazione di una bimba nata da fecondazione assistita praticata all’estero, da parte di una seconda madre, non è dato di sapere, se convivente o lesbica della prima che l’aveva partorita dopo PMA con etero fecondazione.

La Corte chiamata ad esercitare a pieno la funzione nomofilattica, di cui all’art. 65 Ord. Giud. (ovvero garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale) rigettava il ricorso mirante a rettificare quanto formato in Italia dove la bambina è nata, e mirante all’acquisizione di una responsabilità genitoriale di una madre diversa da quella biologica che l’ha partorita.

Si ritiene indispensabile citare quanto espresso da un accreditato istituto di studi per l’educazione, quale la Congregazione degli Istituti di Studio per l’educazione cattolica (Città del Vaticano) in una recente pubblicazione avente per titolo ”MASCHIO E FEMMINA LI CREO’ –  Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione” così riporta: 

omissis…

 “Peraltro ci sono alcuni punti critici che si presentano nella vita reale. Le teorie gender orientate indicano – specialmente le più radicali –  processi  progressivi di de-naturalizzazione o allontanamento dalla natura orientati verso una opzione totale favorevole alla esclusiva decisione del soggetto emotivo.  Con questo atteggiamento, identità sessuale e famiglia divengono dimensioni della “liquidità” e “fluidità” post-moderna: fondate solo su una malintesa libertà del sentire e del volere piuttosto che sulla verità dell’essere; sul desiderio momentaneo della pulsione emotiva e sulla volontà individuale. 

Ancora, in realtà, accade che la difesa delle differenti identità venga spesso perseguita rivendicandole come perfettamente indifferenti tra loro e, dunque, di fatto negandole nella loro rilevanza. Ciò assume particolare importanza in ordine alla differenza sessuale: spesso, infatti, il concetto generico di “non discriminazione” nasconde un’ideologia che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Invece di contrastare le interpretazioni negative della differenza sessuale, che mortificano la sua irriducibile valenza per la dignità umana, si vuole cancellare di fatto tale differenza, proponendo tecniche e pratiche che la rendano irrilevante per lo sviluppo della persona e per le relazioni umane. Ma l’utopia del “neutro” rimuove ad un tempo sia la dignità umana della costituzione sessualmente differente, sia la qualità personale della trasmissione generativa della vita. Si svuota – in questo modo – la base antropologica della famiglia”. (Per chi volesse approfondire, nell’allegato B, il documento è riportato integralmente). 

In una chiara visione della situazione, non bisogna confondere le espressioni ordine della natura e ordine biologico, né identificare ciò che esse esprimono. L’ordine biologico è ordine della natura: è accessibile ai metodi empirici e descrittivi delle scienze naturali ed è specifico dell’esistenza: l’ordine della natura non è più un solo ordine biologico.   Per riferirmi alla mia materia di insegnamento  universitario, non possiamo nella medicina della riproduzione non parlare della medicina di genere o genere-specifica, che di fatto rappresenta innovazione nell’ambito delle scienze della cura: la medicina di genere sta vivendo in Italia un importante momento, sia dal punto di vista clinico, sia da un punto di vista politico, di tutte le politiche, oltre a quelle sanitarie, che ruotano intorno alla medicina di genere, che identificando tutti i soggetti interessati al tema,  va a garantire in modo permanente e vincolante, l’attenzione al genere, ma anche il rispetto dei provvedimenti innovativi da prendere.

Le politiche internazionali sull’inclusione del genere sulla salute e nella sanità sono stabilite dall’OMS e dovrebbero comportare accettazione e conseguenti innovazioni nelle varie nazioni.

L’orientamento alle differenze sessuali e al genere nella diagnosi e cura, cioè la medicina di genere, ha il carattere di una innovazione che, riaffermata da Rogers, può definirsi come  “un’idea, una pratica o un oggetto che di fatto è percepito come nuovo, da un individuo o da altri soggetti di riferimento”. E’ innovazione fondamentalmente in base a due motivazioni: La prima motivazione innovativa sta nel rispetto delle differenze, che nessuno mette in discussione; un’altra è legata al vantaggio dell’economicità delle azioni che consentono risparmio di denaro. 

E’ innegabile che alcune persone attente e sensibili potrebbero trovarsi in evidenti difficoltà nell’esprimersi su questa delicata materia! Ma  ancor più in difficoltà potrebbe trovarsi, nel caso dell’approvazione del pdl Zan, quel professionista della sanità che voglia rendere concreta la spiegazione di quel che la natura dispone nella riproduzione della specie, cosa che va tenuta ben distinta dalle “pratiche gender oriented”. 

Per apprendere un nuovo punto di vista su una materia consolidata da tempo e per essere in regola con subentranti coercizioni legate all’esaltazione delle discriminazioni gender oriented, dovremmo forse allora essere disponibili a vivere una “situazione d’incompetenza temporanea” su queste nuove materie? 

Certamente una situazione di questo genere potrebbe non trovare assoluta  disponibilità e consenso da parte di singole persone che interagiscono nella informazione di tanti vari professionisti, soprattutto nei professionisti della salute e in quelli incaricati della didattica universitaria. 

Esistono ancora molte lacune informative e formative mentre sono già in atto buone pratiche di sensibilizzazione, innovazione e ricerca su questo delicato campo.

Noi sosteniamo l’indispensabilità della medicina genere come obiettivo strategico per la sanità pubblica e per l’appropriatezza delle cure, nonché per la tutela della salute della donna e dell’uomo.

E in questa nostra azione siamo sempre sostenitori dell’equità della medicina, dei bisogni e della medicina di genere, in particolare siamo sostenitori di ogni governance che vada ad includere la medicina di genere nei piani socio-sanitari regionali e nazionali.

Io vivo a Bari e proprio nel 2015 la sede dell’Ordine dei Medici di Bari ha varato un progetto pilota “Osservatorio sulla Medicina Genere” mentre nello stesso tempo la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCeO) ha istituito la Commissione Nazionale di Medicina di Genere. Tutte queste iniziative formalizzate e attive hanno anche consentito la creazione del “Gruppo di lavoro su farmaci e genere”.

L’Università di Roma Tre ha presentato la ricerca “La formazione universitaria e post-universitaria Gendersensitive in Italia” che andrà a completare e migliorare l’offerta formativa universitaria in Italia.

Il Gruppo Italiano Salute e Genere (GISeG), costituito a Bari il 3 agosto 2009, si pone da sempre l’obiettivo di attuare strategie di promozione di una cultura della salute e della medicina di genere mediante programmi di prevenzione, formazione e informazione condivisi con strutture sanitarie ospedaliere e del territorio, medicina generale, istituzioni, collegi professionali, specialità sanitarie non mediche, associazioni di pazienti. 

Il GISeG partecipa alle attività del Centro di riferimento per la Medicina di Genere (MEGE) dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), centro che da numerosi anni ha istituito un tavolo tecnico interregionale per la diffusione della medicina di genere e attualmente svolge sul territorio nazionale un ruolo di coordinamento, come previsto dall’art. 3 del DDL n. 3 del 2018. Al tavolo partecipa, anche in qualità di referente esperto nominato dalla Regione Puglia, la dottoressa Anna Maria Moretti, presidente del GISeG. Attualmente il gruppo di esperti è impegnato nella stesura del piano attuativo del decreto legge n. 3, art. 3 dell’11 gennaio 2018 e collabora insieme al MEGE con le Direzioni ‘Ricerca e Innovazione’, ‘Prevenzione’ e ‘Comunicazione e rapporti europei e internazionali’ del Ministero della Salute, chiamate da tale decreto ad attivare un piano volto alla diffusione della medicina di genere nel piano sanitario nazionale, potenziando in modo omogeneo nel territorio nazionale la medicina di genere, soprattutto applicandola alla prevenzione e alla diagnosi precoce in un’ottica di appropriatezza delle azioni.

Nell’ambito di queste novità scientifiche, personalmente e con tanti altri colleghi, muoviamo le fila per costituire approcci interdisciplinari tra le diverse aree mediche perchè medicina e ricerca siano attente soprattutto anche alle specificità della donna e alle specificità dell’uomo, senza discriminazioni per nessuno.

Riflettendo sulla proposta di legge Zan e avendo ben presente che cosa significa medicina di genere e quale sia il nostro impegno nella ricerca delle patologie che hanno percentuali di incidenza in un sesso rispetto all’altro, noi abbiamo inaugurato strutture interdipartimentali declinate alla salute e alla sanità dell’uomo e della donna. Mi chiedo, e chiedo anche a voi: “Potremo continuare ad individuare percorsi sanitari che tengano ben presente cosa sia il genere al maschile e al femminile, in pneumologia, cardiologia ecc., ma soprattutto in medicina della riproduzione, possiamo non dire che per generare abbiamo bisogno di un gamete del maschio e di un gamete della femmina?” Potremo continuare a dire che abbiamo bisogno di un maschio e di una femmina? Potremo esplicitare la nostra formazione ai bambini, comunicando l’indispensabilità di un papà e di una mamma? Oppure dovremo astenerci per paura di incorrere nei reati di omofobia e transfobia?

Oppure si vuole che questa nostra azione diventi palese discriminazione punibile penalmente a norma del pdl Zan, qualora venisse approvato?

Forse dovremmo al di là dei luoghi comuni e soprattutto in ambito scientifico spiegare a noi stessi che cosa si intende oggi per discriminazione? 

O forse dovremmo andare incontro ad ostacoli giudiziali nello svolgimento del nostro quotidiano lavoro cercando di disvelare la positività della medicina di genere nel campo della sessualità e della riproduzione?

Questo a mio avviso è il dato più importante da chiarire, soprattutto perché io e molti miei colleghi professori accademici forse non abbiamo ancora capito nel delicato campo scientifico-didattico, dove iniziano e dove terminano le discriminazioni.

Quando mi pongo il quesito su cosa intendere per discriminazione, mi viene in mente un caso lampante: quello delle adozioni o delle tecniche avanzate di medicina della riproduzione!

Potrebbe intendersi come discriminazione non aderire alla richiesta di persone omosessuali e transessuali di avere figli con tecnologie avanzate di PMA, cosa già avvenuta soprattutto nei transessuali o di consentire la nascita di figli naturali di uno dei due componenti la coppia legittimato dall’altro in “stepchild adoption”, stante l’introduzione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso . Al di là dei luoghi comuni anche in ambito scientifico, non è ancora affatto dimostrato che l’omogenitorialità sia equiparabile alla genitorialità eterosessuale (e su questo punto potremmo presentare altre innumerevoli ricerche, in aggiunta a quelle già presentate).

In questa categoria di dubbi rientrerebbero tanti casi, vista l’evidenza in natura di tanti ambiti nei quali è la stessa natura in sé a fare delle differenze tra eterosessualità e altri orientamenti sessuali, ovvero tra l’essere transessuali e l’essere “cisgender”, ossia avere un’identità di genere non allineata al sesso biologico. 

Una legge del genere rischia di obbligare la natura a conformarsi a un’idea di uguaglianza distorta. Avere un orientamento religioso o un altro, oppure  un’idea politica o un’altra, non porta cambiamenti e non è correlato a tratti particolari di tipo fisico e psicologico. Al contrario, l’orientamento sessuale e l’identità di genere sì e si badi bene che con “diversità” non è necessario pensare a un difetto ma, appunto, a una diversità che va considerata nel momento in cui voglio mettere quella categoria in un articolo di legge, che invece parla di l’uguaglianza. 

Resta il fatto, comunque, che le persone omosessuali e transessuali devono essere rispettate sempre, comunque e assolutamente. E mai devono essere vessate, aggredite o danneggiate psicologicamente o fisicamente! Questo è un punto essenziale e assolutamente ovvio, e su questo siamo tutti d’accordo. 

Ricordiamoci che i problemi vanno a crearsi proprio quando, su questi argomenti, si vuole creare una norma basandosi sul principio di uguaglianza e mettendola a confronto con altre caratteristiche che, come detto precedentemente, non implicano cambiamenti psicologici o fisici nella persona (e l’orientamento sessuale e soprattutto l’identità di genere ne hanno). Parlando di un oggetto (l’uguaglianza) un conto è parlare di colori diversi (religione, politica e via dicendo) e un altro paio di maniche è parlare di dimensioni, quali l’orientamento sessuale, l’identità di genere e via dicendo. Le dimensioni certamente cambiano l’oggetto che, invece, al cambiare dei colori rimane comunque uguale. 

Siamo ovviamente favorevoli a tutelare in modo assoluto e mai opinabile, le minoranze e le persone più vulnerabili, ma la strada non è quella di mentire o tacere su delle differenze, rischiando a questo punto di fare più danni rispetto ad un problema che si vuole risolvere.

Secondo me il problema maggiore è proprio questo: inserire in una norma che parla di uguaglianza caratteristiche quali omosessualità e transessualità, che invece hanno delle differenze sia psicologiche che mediche e che quindi, anche se vanno rispettate e tutelate, non possono assolutamente essere automaticamente considerate uguali sotto ogni aspetto, omologandole fra loro e riaffermandole e accettandole acriticamente sotto la minaccia della discriminazione.

Il tema dei diritti umani é molto complesso e si può solo affrontare considerando  molteplici aspetti, che a volte possono addirittura apparire contraddittori.

In nome dei diritti umani si giustificano  molte cose, a volte anche  atti di vera discriminazione ponendo a fuoco una problematica così delicata come quella dell’orientamento sessuale, e ciò sia che si tratti di omosessuali che di transessuali o anche di altri orientamenti  e così via.  

Il Nunzio Girasole, autorevole esponente culturale scrive: “Sono in molti poi quelli che difendono e scelgono soltanto alcuni diritti, come se si trattasse di un menù da ristorante. Si scelgono quelli che  piacciono o  fanno comodo o servono ad interessi specifici, a discapito di altri.”   

C’è una tendenza ad omologare il nostro “agio” o i nostri “desiderata” in specifiche categorie che di fatto discriminano a priori proprio coloro che si vogliono tutelare.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani adottata e proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948 afferma chiaramente che i diritti devono essere rivendicati su base individuale  e non collettiva.  In sintesi,  i diritti della Dichiarazione  Universale sono individuali e non collettivi. In realtà,  nei 30 articoli della Dichiarazione Universale, la parola che ricorre di più  è proprio quella di “individuo”. 

D’altra parte, sia all’interno di singoli Paesi  che tra gli Stati, sono scoppiate  forme virulente di etnocentrismo, vere forme di odio sociale verso la diversità che spesso terminano con  formule di negazione dei diritti umani.          

                      
La tendenza negativa che si evince dal pdl del quale parliamo, é quella a mio parere di  considerare implicitamente proprio gli eterosessuali superiori ad altri,  tanto da scrivere una normativa, quale questo pdl,  che vada a tutelare le persone in condizioni di omosessualità e transessualità come se fossero diverse. E’ come se andassimo a promuovere vere e proprie  pericolose contraddizioni, che viceversa vorremmo evitare. 

Dobbiamo dunque  ammettere che il meccanismo giuridico e il controllo per rivendicare e proteggere i  diritti collettivi degli omosessuali e transessuali  in tale contesto è  molto debole.
Paradossalmente la difesa e l’accettazione di diritti di comportamenti sessuali determina una nuova “minoranza” e condiziona conseguenze abnormi consistenti nel non aver davvero considerato il diritto di essere Persona, al di là delle identificazioni di genere, o di etnia o di status . 

Da quanto ci è sembrato, la legge Zan, composta di  due soli articoli, aggiunge l’orientamento sessuale e l’identità di genere tra le ragioni di discriminazioni punite con la reclusione, oltre che con multe.” 

(Allegato C)

La legge dunque interviene su due punti del codice aggiungendo una semplice clausola “fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”. 

L’omotransfobia sarebbe anche inserita tra le aggravanti. L’articolo 604 ter risulterebbe dunque così: “Per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso -oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere-, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità la pena è aumentata fino alla metà”. 

In proposito occorre prendere atto che in realtà trattasi sempre di comportamenti violenti dell’essere umano che nulla hanno a che fare con l’oggetto/Soggetto e che forse siamo chiamati a svolgere una azione educativa ad ampio raggio anche per tutelare davvero i diritti di tutti gli esseri umani  evitando altre discriminazioni di sorta. 

La proposta contro l’omotransfobia a mio parere non aggiunge nulla nei confronti di quella che è la legge sui diritti umani. E’ come il femminicidio! Sempre di assassinio si tratta!

Occorre considerare tra l’altro che l’omosessualità e la transessualità sono oggetto di studi di natura psicoanalitica e non da oggi, così come lo sono tutti i comportamenti. 

Forse si vuol eliminare dal DSM 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – V Edizione), ogni riferimento a comportamenti  diversi con il rischio di non poter comprendere più gli stessi? 

 La scienza non  discrimina, ma osserva e cerca di spiegare i comportamenti umani tutti senza alcuna discriminazione, cosa che con l’applicazione della legge Zan, non sarebbe più possibile perché si avvierebbe  subito una pesante   azione che punterebbe il dito proprio su quelle persone che si vogliono proteggere per vulnerabilità e sui comportamenti umani tutti. 

Si tenga presente che tutti gli esseri umani, nessuno escluso, sono vulnerabili  data la loro fragile natura. 

Se si deve proprio potenziare il codice penale, lo si potenzi a favore di tutte le persone, dico di tutte, nessuno escluso!…affinché violenze e aggressioni non conoscano generi o status. 

BIBLIOGRAFIA

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Amato G  – “Gender e (d)istruzione  – Ed. Fede e Cultura, 2015

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 Cantelmi T –Lambiase E et al.  –  Essere padre e madre oggi. Crescere i figli con equilibrio e stabilità 

 San Paolo Edizioni – 2015

Camera dei Deputati – XVIII Legislatura  – Atti Parlamentari  n. 569- Proposta di legge di iniziativa dei deputati  Zan, Annibali ed altri:

 “ Modifiche degli artt 604/bis e 604/ter del Codice Penale in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere” ( 2 soli articoli).

 2 Maggio 2018  

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Istituto Superiore di Sanità:    Istituzione nel Dipartimento del farmaco del reparto malattie degenerative, invecchiamento e medicina di genere – 2011

Istituto Superiore di Sanità:       Istituzione del Centro di riferimento per la Medicina di genere – Tavolo tecnico-scientifico nazionale di esperti in medicina di genere – 2017

Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione – DSM-5

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<< MASCHIO E FEMMINA LI CREO’>>  Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione”

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Ministero della Salute: Quaderni “Il genere come determinante di salute” 

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https://www.camera.it/leg18/126?tab=&leg=18&idDocumento=0569

( Presentata il 2 maggio 2018 )