LEGGE ITALIANA SULLE DISPOSIZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO
Padre Michele Aramini

Il 22 dicembre 2017 è stata promulgata dal Presidente della Repubblica, la legge n. 219: Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento.La legge che sembrava non potere giungere all’approvazione del Senato, per l’avvicinarsi dello scioglimento delle Camere, ha subito una improvvisa accelerazione per l’accordo di alcuni partiti della maggioranza di governo e di alcuni settori dell’opposizione, ed è stata definitivamente approvata il 14 dicembre 2017 dall’aula del Senato.Come accade di frequente per le leggi a forte contenuto etico, il dibattito è stato molto intenso e, non di rado, ha assunto toni aspri. Questi ultimi si sono registrati in particolare su alcune novità contenute nella legge, quali la previsione contenuta nell’articolo 1 che il consenso alle terapie debba essere sempre attuale, la collocazione dell’idratazione e alimentazione artificiali nell’ambito delle terapie (art. 1, comma 5) e la possibilità per i cittadini di sottoscrivere un documento contenente le proprie disposizioni anticipate di trattamento.La legge n. 219 contiene anche dei richiami a elementi che sono già presenti nella prassi medica, e nei rapporti tra medici e pazienti. Si tratta della reiterazione del rifiuto dell’accanimento terapeutico, della somministrazione delle cure palliative e dello sviluppo della pianificazione condivisa delle cure.Infine alcuni articoli, hanno una rilevanza formale: all’articolo 6 si conferisce valore legale ai documenti già depositati nei registri di quei comuni che li avevano istituiti in precedenza. All’articolo 7 si afferma che la legge non deve apportare oneri aggiuntivi per lo stato. All’ultimo articolo si stabilisce che il Ministro della Salute relazioni annualmente al Parlamento sull’andamento dell’applicazione della legge. Prassi che è propria delle leggi bioetiche, infatti vale per la legge sull’aborto, per quella sui trapianti e per quella sulla fecondazione artificiale.Prima di approfondire le novità della legge, vediamo che cosa si dice dei temi già consolidati e che vengono richiamati nel testo, probabilmente per fornire un modello sufficientemente unitario delle cure da prestare ai malati in condizioni terminali.

Elementi assodati ma ripresi dalla legge: accanimento terapeutico, cure palliative e pianificazione condivisa delle cure.Cominciamo dall’articolo2 comma secondo, nel quale si ribadisce il dovere diastenersi dall’accanimento terapeutico, che nella legge è identificato con la dizione ostinazione irragionevole delle cure. Il testo dice: Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. Si tratta di un’affermazione che dovrebbe essere scontata, perché leggi civili, deontologia medica e insegnamento cattolico convergono nella necessità di astenersi dall’accanimento terapeutico. Il fatto che il divieto sia ribadito nella legge, lascia supporre che l’ostinazione irragionevole non è scomparsa dalla prassi, per i motivi che abbiamo visto nel capitolo secondo. Per certi aspetti, si deve dire che, se un divieto viene reiterato è perché la prassi continua a violarlo. Forse occorre porre rimedio ai motivi che generano una prassi scorretta e non solo ripetere la norma. A titolo esemplificativo diciamo che quanto affermato nell’articolo 1 comma 8: “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”, deve essere reso possibile attraverso un numero di medici sufficienti, che abbiano tempo di dialogare con i pazienti. È di tutta evidenza che una buona comunicazione tra medici, pazienti e parenti costituisce la base per la forte diminuzione dell’accanimento terapeutico.Passiamo alle cure palliative. L’Italia si è dotata di una buona legge sulle cure palliative, la numero 38 del 2010. Si tratta di una legge fortemente innovativa, che per la prima volta garantisce l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze.

Le strutture sanitarie che erogano cure palliative e terapia del dolore devono assicurare un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia, nel rispetto dei princìpi fondamentali della tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione; della tutela e promozione della qualità della vita in ogni fase della malattia, in particolare in quella terminale, e di un adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia.Se per il primo aspetto di trattamento del dolore, la rete delle unità operative di cure palliative si è diffusa in maniera sostanzialmente sufficiente su tutto il territorio nazionale, è il secondo aspetto, quello socio- assistenziale che purtroppo resta carente o assente in molte regioni. Anche in questo caso la legge in esame non fa altro che richiamare la necessità delle cure palliative, senza entrare nel merito di queste carenze, e d’altronde non era questo il suo obiettivo. Ma non si può dimenticare che gli aspetti organizzativi hanno una rilevanza fondamentale nell’attuazione dei diritti dei cittadini.Infine la legge richiama e rafforza la prassi della pianificazione condivisa delle cure. Ecco che cosa dice l’articolo 5 comma 1: “Nella relazione tra paziente e medico di cui all’articolo 1, comma 2, rispetto all’evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico, alla quale il medico e l’équipe sanitaria sono tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità”. Si tratta di sviluppare un dialogo medico paziente (e se del caso coinvolgendo i parenti) su temi molto concreti, in quanto si ragiona su una patologia grave che si è già instaurata e della quale si conosce la probabile evoluzione e si possono ragionevolmente pianificare le cure, anche scegliendo tra diverse alternative. Anche in questo caso il paziente può dare disposizioni, alle quali poi i medici attenersi. È chiaro che in questo caso la concretezza è molto più forte e la precisione delle richieste del paziente molto più alta, che non nel caso di disposizioni generiche, stilate quando non si era malati.

Le novità della leggeLe principali novità della legge 219/17 sono tre e nell’ordine di presentazione della legge sono: la possibilità di revocare il consenso a un trattamento anche quando questo è stato instaurato, anche nel caso che si tratti di un trattamento salvavita; la qualificazione dell’idratazione e alimentazione artificiali come terapie mediche, e come tali bisognose del consenso del paziente; la possibilità per ogni cittadino di sottoscrivere un documento in cui esprimere le disposizioni anticipate di trattamento (DAT).All’articolo uno, comma primo troviamo la prima novità. In esso si dice che: la presente legge … stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.Si tratta della ripresa di una parte dell’articolo 32 della Costituzione, ma con una importante aggiunta, costituita dalla parola proseguito. Ciò significa che i trattamenti medici devono avere un consenso sempre attuale, sempre vivo da parte del paziente e nel caso che questo consenso venga meno debbono essere sospesi. Tale consenso è necessario in tutti i casi, anche in quelli relativi ai trattamenti salvavita e a quelli che precedentemente si chiamavano sostegni vitali, quali ventilazione artificiale e nutrizione-idratazione artificiali.Al comma 5 dello stesso articolo 1, il concetto è estesamente precisato: Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamentoQui possiamo richiamare alla memoria, le discussioni che si sono svolte intorno al caso Welby, nell’ormai lontano 2006.  Quel caso oggi non costituirebbe più oggetto di discussioni, in quanto il ritiro da parte del paziente del suo consenso alla ventilazione, avrebbe comportato la sospensione della ventilazione stessa e la morte del paziente come conseguenza della sua decisione, il tutto nel quadro della legalità e senza le incertezze che accompagnarono quella vicenda.Il rifiuto delle terapie, ovviamente non vale per trattamenti sanitari obbligatori previsti dalla legge, come nel caso molto attuale dei vaccini. Non vale neppure nelle situazioni di emergenza, quando non si conosce la volontà del paziente e questi non sia in grado di esprimerla. Sempre all’articolo 1, comma 7 troviamo: Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell’équipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla. La vera ed importante novità dell’intera legge 219  non sia tanto la possibilità di redigere le  DAT (art 5) ma la necessità  di ottenere sempre e comunque da parte del paziente cognitivamente competente un  consenso informato, fondato sulla  autodeterminazione del paziente stesso, sulla sua possibilità di accettare o rifiutare qualsiasi terapia prescritta anche salva vita.Il consenso come vera e decisiva novità della leggeLa legge 219 enfatizza la necessità “di valorizzare la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza del medico” (art 1 comma 2).Il consenso informato ha come premessa imprescindibile una comunicazione veritiera su diagnosi, possibili trattamenti e prognosi.  Va da sé che pur lasciando sempre aperti elementi di speranza, si impone la necessità che il paziente comprenda quali siano le possibilità di cura e quali le reali aspettative di successo o insuccesso della stessa.Il fatto che la comunicazione debba avvenire nel contesto di una stretta relazione medico-paziente, e che possa essere condivisa con la famiglia solamente se il paziente lo consente (art 2 comma 2), rappresenta per la nostra società una rivoluzione copernicana soprattutto in campo oncologico e comunque in tutte quelle fasi di malattia ad andamento infausto.Numerosi lavori scientifici testimoniano che, ancor oggi, il tasso di consapevolezza di diagnosi e prognosi a fine vita è di poco superiore al 50%, a causa di una comunicazione impropria da parte del medico, spesso ostacolata dalla famiglia. Atto pietoso che, però, confligge con la necessità per il paziente di esercitare il suo diritto di autodeterminazione nell’accettare o rifiutare la terapia.Dalla acquisizione di un consenso informato attuale, specifico, personale, revocabile, veritiero, obiettivo, comprensibile, discendono le due fondamentali possibilità di redigere le Disposizioni anticipate di trattamento per un eventuale futuro stato patologico ancora ignoto, oppure la pianificazione anticipata delle cure per una patologia già in atto ed in fase evolutiva.Terapia del dolore, sedazione palliativa continua, nutrizione artificiale, cure proporzionate sono tutte possibilità e variabili più o meno virtuose che si giocano tra la coscienza e competenza del medico  e la possibilità del paziente di autodeterminarsi  al fine di evitare quegli stati  di accanimento o  abbandono terapeutico frutto di una relazione mal gestita.La legge 219 impone un profondo cambiamento culturale nella relazione di cura che, dobbiamo fortemente auspicare, si mantenga rispettosa del favor vitae e della dignità umana sia del paziente che dell’operatore sanitario.Nel mondo medico internazionale già da tempo si era giunti a tale qualificazione. La legge 219/17 porta anche l’Italia su questa posizione. L’articolo 1, comma 5 recita: Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici.Il punto è stato molto dibattuto, perché il rifiuto di tali “nuove” trattamenti comporta la morte del paziente. Inoltre la tradizione del Magistero cattolico insiste sulla non sospendibilità dei sostegni vitali dell’alimentazione e dell’idratazione, anche quando hanno la forma artificiale di somministrazione. Ritorneremo sul punto, più avanti, nel nostro commento alla legge.Il terzo punto decisivo di novità è la introduzione dello strumento DAT con valore legale. Si tratta di un documento scritto, ma che può assumere anche forme nuove, quali video registrazioni, ecc. In esso, ogni persona può indicare i trattamenti ai quali non vorrebbe essere sottoposto in caso venisse a trovarsi in condizioni di non potersi esprimere coscientemente.Il nuovo strumento trova la sua precisazione nell’articolo 4 comma 1 della legge: Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.Rispetto alle proposte precedenti, la formula usata dalla legge è più incisiva per il fatto che la parola disposizioni ha preso il posto della parola dichiarazioni. Si comprende come ci sia differenza di valore tra dichiarazioni orientative e disposizioni vincolanti. Il punto ha delle immediate ricadute anche sulla relazione medico paziente.Dato che si tratta di disposizioni il medico è tenuto al rispetto della DAT. L’articolo 4 al comma cinque prevede che le DAT possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario: qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita.Da questo comma si comprende che la legge prevede anche la nomina di un fiduciario, che ha il compito di garantire che le disposizioni del paziente siano correttamente interpretate e osservate. Nei casi di conflitto tra medici e fiduciario la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata.Elementi complementari della leggeAltri rilevanti sono quelli relativi al trattamento dei minori, contenuti nell’articolo 3. Alla promozione e valorizzazione della relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato. Al diritto del paziente a conoscere le proprie condizioni di salute. Alla sedazione palliativa profonda nei casi in cui è necessaria. La precisazione molto importante che i pazienti non possono esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali. Quest’ultimo punto avrà grande rilievo nella valutazione complessiva della legge.

Valutazione giuridica della legge 219/2017Iniziamo dai profili giuridici. Che cosa dice la legge? Introduce nuovi diritti? Apre le porte all’eutanasia?

La corretta interpretazione della legge.Come tutte le leggi, anche l’applicazione della legge 219 dipenderà molto dalla interpretazione che se ne darà. Le letture diverse che si possono fare del testo sono già state discusse in Parlamento dai favorevoli e dai contrari e, dopo l’approvazione della legge, anche dalla magistratura. I giudici sono già intervenuti in materia e con la recente ordinanza della Corte d’assise di Milano, relativa al caso Cappato, hanno dato della legge 219/2017 una interpretazione estensiva, come se essa riconoscesse il “diritto di ciascuno di autodeterminarsi anche in ordine alla fine della propria esistenza”. Su questa interpretazione è stata chiamata a pronunciarsi la Corte Costituzionale. In attesa della pronuncia della Corte, si discute già se anche i medici saranno chiamati ad assistere chi volesse suicidarsi, infatti se ci fosse un diritto a morire, anche il divieto della legge 219 di richiedere al medico trattamenti contrari alle norme di legge oppure alla deontologia professionale, verrebbe a cadere.Si comprende che si tratta di una questione decisiva relativa alla funzione del diritto: esiste o non esiste un limite proprio del diritto, secondo cui la relazione con l’altro non può mai realizzarsi attraverso l’eliminazione del suo essere? Dobbiamo auspicare che la Corte Costituzionale si pronunci nel senso di non riconoscere che la legge 219 abbia introdotto un diritto a morire, come invece interpreta la Corte d’assise di Milano.D’altra parte la legge 219 all’articolo 1 comma 6 dice che: “Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali”. Da qui si comprende che la legge non mira a imporre pratiche eutanasiche, sebbene in qualche caso non possa impedirli (come nel caso di un paziente sottoposto ad alimentazione e idratazione artificiali, proporzionati al suo stato di salute, che volesse rifiutarli e avviarsi verso la morte). Qui appare fondamentale operare perché questi esiti non si realizzino di fatto nella prassi.E ciò richiede diversi accorgimenti. Innanzitutto che nessun malato venga a trovarsi in condizioni di abbandono, richiede una somministrazione attenta delle cure palliative, una cultura del rispetto delle persone nelle condizioni di fragilità. In seconda battuta richiede una corretta applicazione del principio di proporzionalità della cura, che sia in favor vitae. In altri termini occorre contrastare l’idea che il solo fatto di essere vecchi o molto malati, faccia ritenere che ogni cura pur proporzionata, venga considerata inutile.

Stesura e valore delle DATPer certi aspetti le DAT sono uno strumento per continuare il dialogo medico paziente, quando quest’ultimo non può più esprimersi, ma per altro verso le DAT possono essere interpretate come un gesto di sfiducia nella medicina e nei medici. Infatti con le DAT si vorrebbe imporre la propria sovrana decisione, senza finire negli ingranaggi della macchina medica, considerata inaffidabile. In questo caso i medici dovrebbero essere solo esecutori delle volontà del paziente.Il secondo aspetto richiama la questione della fiducia nel prossimo e nel medico in particolare. Si può negare la relazione di fiducia medico paziente? Si può stendere un documento come le DAT senza competenza medica? Basteranno alcune informazioni generiche? La legge 219 all’articolo 4,1 recita: “Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, …”. Che significa “avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte”?  questo è un punto che sfugge alla maggior parte delle persone. Se non si vuole che le DAT siano solo un documento formale, sostanzialmente privo di valore, esse devono essere redatte con l’aiuto di una persona competente, che nel caso è normalmente un medico, nel quale si ha fiducia. Perciò la figura del medico di fiducia è imprescindibile per una corretta sottoscrizione delle DAT. A ciò si aggiunga che sarà necessaria anche una consulenza di tipo etico. Qui il discorso può sembrare più facile, perché ognuno, si dirà, ha la sua etica. In realtà il valore etico delle scelte dipende dalla buona conoscenza delle informazioni scientifiche. La figura del fiduciario, in questo senso non aiuta, perché con molta probabilità il criterio della scelta sarà quello della parentela o amicizia, non quello della competenza medica e/o etica.Altro aspetto rilevante per non rendere inconsistenti le DAT è la necessità del loro continuo aggiornamento. Lasciate nel cassetto le DAT diventano obsolete nel giro di pochi anni, a fronte dei rapidi sviluppi della medicina.Per tutti questi aspetti problematici, la legge prevede che il medico possa disattendere le DAT, ma a condizione ben precise: “qualora esseappaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione” articolo 4, comma 5. L’espressione usata dalla legge che il medico possa disattendere le DAT è infelice. Sarebbe stato meglio dire che il medico svolge il proprio compito cercandone l’interpretazione più corretta nelle circostanze concrete. Infatti se esse sono incoerenti, sono impossibili da applicare; se non sono pertinenti al contesto clinico, sarebbe improprio attuarle.

Valutazione etica della legge 219/2017 L’attuale testo della legge non viola i principi dell’etica medica e neppure va contro gli insegnamenti morali del Magistero Cattolico.Da un punto di vista etico esistono alcuni elementi problematici sui quali è bene riflettere.Essa è ben affermata nell’impianto della legge, ma non è un’autonomia assoluta. Basti pensare all’articolo 1 comma 6, già citato: “Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali”.Quindi tratta di una autonomia relativa alle cure da ricevere. Dobbiamo premette che la legge non può regolare tutti i possibili casi e la relazione medico paziente può avere momenti di frizione.Qui va richiamata la distinzione già discussa, cioè la non coincidenza, tra appropriatezza clinica e proporzionalità delle cure. Sono due cose differenti. L’appropriatezza clinica di un trattamento è un elemento della valutazione di proporzionalità, ma non l’unico. Certo se il trattamento fosse inappropriato, ci sarebbe l’obbligo di sospenderlo. A partire dal trattamento appropriato si apre la valutazione della proporzionalità e qui ogni caso differisce da un altro. Papa Francesco nel messaggio alla WMA che abbiamo commentato nel capitolo I dice che “per stabilire se un intervento medico clinicamente appropriato sia effettivamente sproporzionato non è sufficiente applicare in modo meccanico una regola generale”.  Un ruolo principale nel processo di valutazione dovrà essere svolto dal malato. Quindi si potrebbe dare il caso di un paziente che rifiuta un trattamento ritenuto appropriato dal medico curante.In questi casi prevale il giudizio espresso dal malato. Riportiamo le parole di mons. Jean-Pierre Ricard, all’epoca presidente della Conferenza Episcopale Francese (CEF), commentando un progetto di legge, che fu poi approvato nel 2005, riguardo a cure che potrebbero consentire un significativo prolungamento della vita affermò: «Può capitare che un malato rifiuti allora qualsiasi intervento sul suo corpo, a eccezione delle “cure di conforto”. I curanti non potranno che sottomettersi, dopo aver esaurito le risorse del dialogo»[1]. Essi dovranno avere un atteggiamento di accompagnamento e di accoglienza. In questo caso non si esclude l’eventuale obiezione di coscienza da parte del medico che dissente dalla scelta del paziente, come previsto dal Codice di deontologia medica, art. 22.Una delle novità più importanti della legge è l’inclusione della nutrizione e idratazione artificiali (NIA) tra i trattamenti (non terapie) che il paziente può rifiutare. Questo è stato pure uno dei punti più controversi della legge. La questione è delicata, da una parte, perché la loro sospensione conduce alla morte per fame e sete e, d’altra parte, perché cibo e acqua hanno un grande valore simbolico. Su quest’ultimo punto occorre dire che secondo la legge, per NIA si intende la «somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici», pertanto l’analogia con il pane e l’acqua è piuttosto remota.L’obiezione che si fa a questo punto della legge la seguente: il paziente non muore per il decorso naturale della malattia, ma per l’azione del medico che sospende il trattamento.Quanti ritengono di non dover accogliere questa obiezione rispondono (C. Casalone) che tale obiezione nasce da una concezione riduttiva della malattia. Una concezione concentrata nel mantenere le singole funzioni dell’organismo. In tal modo si perde di vista la globalità della persona e il suo bene complessivo.C. Casalone ritiene che si debbano interpretare in questa linea le parole di papa Francesco (vedi capitolo I), quando asserisce che gli interventi tecnologici sul corpo «possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute. Occorre quindi un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona».Una posizione equilibrata a cui fare riferimento può essere la recente legge francese sul fine vita, nota come Claeys-Leonetti (2016). Essa mantiene una predisposizione favorevole all’uso delle NIA, da considerarsi dovute in linea di principio anche negli stati vegetativi permanenti SVP. La stessa legge però consente la richiesta di sospensione e in questi casi, secondo il gruppo di lavoro costituito dai Vescovi francesi, la decisione «deve considerare il bene della persona nel tessuto relazionale in cui è inserita. Non esiste criterio medico (prognosi, irreversibilità, misura delle potenzialità relazionali, ecc.) che la giustificherebbe di per sé e in modo automatico; è necessario integrare elementi non medici (volontà del paziente, direttive anticipate, riferimenti etici, impatto sull’ambiente familiare, ecc.)»[2]. La decisione deve essere presa caso per caso e la responsabilità dei medici rimane tutta intera, in quanto l’arte medica discerne quando la rinuncia alla nutrizione e alla idratazione artificiali corrisponde alla miglior cura da prestare.La legge 219/2017 non prevede l’obiezione di coscienza. Questa mancata previsione è stata un punto dibattuto.L’assenza potrebbe essere motivata da una volontà impositiva sui medici, in modo che le DAT abbiano maggior forza. Questa sembra essere una interpretazione forzata. Più probabilmente l’assenza di previsione per l’obiezione di coscienza sta nel fatto che non è chiaro verso quale azione precisa si solleverebbe obiezione. Qui si siamo in presenza di un gran numerosi di comportamenti, non sempre precisabili, molti dei quali sono addirittura doverosi, come quelli che mirano alla sospensione dell’ostinazione terapeutica.Sotto il profilo giuridico esistono poi difficoltà a configurare l’obiezione di coscienza sia perché qui non si tratta di porre in essere un’azione, ma di astenersi dal porla o di interromperla. E nel caso in cui non si interrompesse, una volta espressa la volontà contraria del paziente, si configurerebbe una violazione dell’articolo 32 della Costituzione che impedisce l’imposizione di trattamenti sanitari.L’obiezione potrebbe avere un senso, se la legge introducesse l’eutanasia nel nostro ordinamento. In realtà la legge non introduce l’eutanasia. È chiaro che i trattamenti che possono essere interrotti, e nel caso di interruzione di trattamenti qualificati come ostinazione irragionevole, questa omissione non è affatto eutanasia. Al medico spetta, attraverso la sua umanità e professionalità fare di tutto perché le intenzioni eutanasiche non sorgano neppure.In questo senso la legge chiede al medico di attivarsi per sostenere quei pazienti che volessero sospendere i trattamenti che li tengono in vita: “Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica” articolo 1 comma 5.In quello appena citato, che è il caso più problematico, dobbiamo ricordare che una risoluzione del Comitato nazionale per la bioetica dell’ottobre 2008 ha stabilito che il medico (come pure la sua équipe) ha il «diritto di astenersi da simili condotte». Pensiamo che ciò resti un punto fermo, dato che la legge esclude l’esigibilità di condotte contrarie a legge, a deontologia, a clinica assistenziale.Nello stesso tempo il testo promuove le cure palliative anche nel caso che il paziente rifiuto il trattamento indicato dal medico, articolo 2 comma1.Queste ultime sottolineature e altre presenti nel testo, indicano che lo spirito della legge non va nella direzione dell’abbandono terapeutico delle persone più fragili. Occorrerà perciò operare perché la prassi sia positivamente orientata in questa direzione.

Un giudizio sintetico sulla leggeQuasi tutte le leggi, essendo opera umana, hanno luci e ombre. Un bravo legislatore cerca di far prevalere le luci sulle ombre, ma si sa che il legislatore opera anche una composizione tra posizioni molto diverse tra loro. Anche la legge italiana sulle DAT (Disposizioni anticipate di trattamento), da poco entrata in vigore, non sfugge a questo destino. Essa può essere considerata come una legge che ha luci e ombre, e da una legge composita possono uscire diverse prassi applicative. Per comprendere questo diverso esito basterà riferirsi al dibattito parlamentare che ha preceduto l’approvazione della legge. In quella fase si sono confrontate due posizioni, che potrebbero ritrovarsi nella prassi: da una parte quelli che volevano a tutti i costi giungere all’approvazione delle DAT hanno garantito che l’eutanasia non c’entrava, che si trattava di rispetto del diritto soggettivo di dare o negare consenso alle terapie. Abbiamo visto che in effetti questo è uno dei punti qualificanti della legge, condivisibile anche dal punto di vista dell’etica cattolica e dal punto di vista del riconoscimento al paziente del suo ruolo di attore principale, come abbiamo visto nell’insegnamento di papa Francesco. D’altra parte coloro che non volevano la legge sulle DAT, così come si veniva configurando, hanno denunciato le possibili derive di abbandono dei malati e, ancor peggio, le derive eutanasiche. Adesso che la legge è legge, i suoi fan potrebbero avere buon gioco a sostenerne una lettura davvero eutanasica. Viceversa, il fronte contrario può dire: «Ci avete assicurato che questa legge non introduce affatto l’eutanasia. E allora, applichiamola nel verso giusto, in difesa e rispetto della vita umana e della umanità del morire». Come ha suggerito il magistrato Giuseppe Anzani su Avvenire del 31 gennaio 2018, occorre fare della legge una lettura onesta senza forzature. Su questo punto è necessario riprendere il fondamentale tema del consenso.Il valore del consensoLa legge 219 ha ampliato il ruolo del consenso ai trattamenti medici. Per tale ragione qualcuno può paventare che possano crescere i casi di rifiuto delle terapie e dei trattamenti, anche di quelli salvavita. In realtà tale rifiuto si poteva opporre anche precedentemente alla legge 219. Se un aumento dovesse esserci, questo probabilmente dipenderà dall’accresciuta consapevolezza di molti pazienti, i quali vogliono essere protagonisti delle decisioni di fine vita.In queste condizioni come si potrà realizzare una pratica della legge che sia indirizzata al bene?Innanzitutto crediamo che si debba incoraggiare l’alleanza terapeutica attraverso lo strumento della pianificazione anticipate delle cure. Quindi un modo di applicare la legge che riannodi i fili della fiducia tra medico e paziente, per cui anche in presenza delle eventuali DAT, a queste competerà rispetto e non meccanica obbedienza, in virtù del fatto che il processo di discernimento non può mai essere abbandonato. Bisognerà attuare una pratica della legge che incoraggi il discernimento morale, il quale non può limitarsi alla pura applicazione di norme astratte. Tale applicazione meccanica, come ci ricorda papa Francesco, sarà anche più facile ma perde di vista la persona umana e i suoi bisogni.In secondo luogo, a quei medici che paventano una subordinazione del medico alla volontà del paziente, occorre ricordare che nelle società democratiche il paziente non può essere solo oggetto di decisioni altrui. A fronte dell’ampliamento del ruolo del consenso, alcuni hanno la tentazione di retrocede dal proprio impegno morale e di abbracciare la medicina contrattualistica di derivazione americana. A nostro parere questo sarebbe un grave errore, perché l’originalità della relazione medico paziente è data dal bisogno dell’uomo malato, che si rivolge all’esperto di medicina. Ma è esperienza comune che l’uomo malato ha bisogno di un incontro con un altro uomo e non solo di consulenza tecnica. In questa relazione tra persona e persona, il consenso è uno strumento che garantisce il diritto del paziente di essere protagonista nella gestione della propria malattia. Il medico non è per nulla diminuito nel suo ruolo di competente e di uomo che si prende cura (e non che cura soltanto). Il rafforzamento del consenso, richiede relazioni più dialogiche, più attente e spinge molto verso la pianificazione condivisa delle cure. In questo senso la sottoscrizione delle DAT, per tutte le problematiche che esse comportano e la loro incapacità di sviluppare un dialogo pertinente, appare come uno strumento veramente secondario.Per una cultura a favore della vita.Come abbiamo già detto nel capitolo VI sulle cure palliative, alla fine quello che veramente conterà, per questa legge e per altre che eventualmente verranno in futuro, è la cultura del rispetto della vita. de le persone protagoniste delle decisioni di fine vita avranno amore e rispetto della vita, anche quando essa è debole e fragile, avremo certamente una buona prassi applicativa della legge. Naturalmente questa cultura deve essere proposta e promossa a ogni livello, tra le nuove classi mediche, tra i media e in ogni altro contesto. Per la buona applicazione conterà anche la promozione di un senso di umanità verso i sofferenti e l’approccio dialogico alle decisioni di fine vita. Bisogna spingere per una cultura della fiducia e della collaborazione tra malati, medici e parenti. Solo in questo modo le luci della legge daranno serenità e le ombre non faranno paura.

Appendice
Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento Art. 1.(Consenso informato)1. La presente legge, nel rispetto dei princìpi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.2. È promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico. Contribuiscono alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l’équipe sanitaria. In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo.3. Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefìci e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Può rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l’eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.4. Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Il consenso informato, in qualunque forma espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.5. Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici. Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. Ferma restando la possibilità per il paziente di modificare la propria volontà, l’accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.6. Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali.7. Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell’équipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.8. Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura.9. Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale.10. La formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative.11. È fatta salva l’applicazione delle norme speciali che disciplinano l’acquisizione del consenso informato per determinati atti o trattamenti sanitari.Art. 2.(Terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale della vita)1. Il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38.2. Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente.3. Il ricorso alla sedazione palliativa profonda continua o il rifiuto della stessa sono motivati e sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.Art. 3.(Minori e incapaci)1. La persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all’articolo 1, comma 1. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà.2. Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità.3. Il consenso informato della persona interdetta ai sensi dell’articolo 414 del codice civile è espresso o rifiutato dal tutore, sentito l’interdetto ove possibile, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita della persona nel pieno rispetto della sua dignità.4. Il consenso informato della persona inabilitata è espresso dalla medesima persona inabilitata. Nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere.5. Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l’amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all’articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria.Art. 4.(Disposizioni anticipate di trattamento)1. Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.2. Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere. L’accettazione della nomina da parte del fiduciario avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, che è allegato alle DAT. Al fiduciario è rilasciata una copia delle DAT. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto, che è comunicato al disponente.3. L’incarico del fiduciario può essere revocato dal disponente in qualsiasi momento, con le stesse modalità previste per la nomina e senza obbligo di motivazione.4. Nel caso in cui le DAT non contengano l’indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le DAT mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente. In caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno, ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del codice civile.5. Fermo restando quanto previsto dal comma 6 dell’articolo 1, il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. Nel caso di conflitto tra il fiduciario e il medico, si procede ai sensi del comma 5 dell’articolo 3.6. Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all’annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, qualora ricorrano i presupposti di cui al comma 7. Sono esenti dall’obbligo di registrazione, dall’imposta di bollo e da qualsiasi altro tributo, imposta, diritto e tassa. Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Con le medesime forme esse sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento. Nei casi in cui ragioni di emergenza e urgenza impedissero di procedere alla revoca delle DAT con le forme previste dai periodi precedenti, queste possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, con l’assistenza di due testimoni.7. Le regioni che adottano modalità telematiche di gestione della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale possono, con proprio atto, regolamentare la raccolta di copia delle DAT, compresa l’indicazione del fiduciario, e il loro inserimento nella banca dati, lasciando comunque al firmatario la libertà di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili.8. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero della salute, le regioni e le aziende sanitarie provvedono a informare della possibilità di redigere le DAT in base alla presente legge, anche attraverso i rispettivi siti internet.Art. 5.(Pianificazione condivisa delle cure)1. Nella relazione tra paziente e medico di cui all’articolo 1, comma 2, rispetto all’evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico, alla quale il medico e l’équipe sanitaria sono tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità.2. Il paziente e, con il suo consenso, i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia sono adeguatamente informati, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, in particolare sul possibile evolversi della patologia in atto, su quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di intervenire e sulle cure palliative.3. Il paziente esprime il proprio consenso rispetto a quanto proposto dal medico ai sensi del comma 2 e i propri intendimenti per il futuro, compresa l’eventuale indicazione di un fiduciario.4. Il consenso del paziente e l’eventuale indicazione di un fiduciario, di cui al comma 3, sono espressi in forma scritta ovvero, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso video-registrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare, e sono inseriti nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. La pianificazione delle cure può essere aggiornata al progressivo evolversi della malattia, su richiesta del paziente o su suggerimento del medico.5. Per quanto riguarda gli aspetti non espressamente disciplinati dal presente articolo si applicano le disposizioni dell’articolo 4.Art. 6.(Norma transitoria)1. Ai documenti atti ad esprimere le volontà del disponente in merito ai trattamenti sanitari, depositati presso il comune di residenza o presso un notaio prima della data di entrata in vigore della presente legge, si applicano le disposizioni della medesima legge.Art. 7.(Clausola di invarianza finanziaria)1. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono all’attuazione delle disposizioni della presente legge nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.Art. 8.(Relazione alle Camere)1. Il Ministro della salute trasmette alle Camere, entro il 30 aprile di ogni anno, a decorrere dall’anno successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, una relazione sull’applicazione della legge stessa. Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di febbraio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministero della salute.

Conclusione

Siamo giunti al termine di questo breve itinerario sull’insegnamento di papa Francesco, su due questioni bioetiche molto attuali e rilevanti.Ci siamo resi conto che a papa Francesco sta molto a cuore la riaffermazione anche teorica del valore unico della persona umana.Ma egli non vuole fermarsi solo sul campo della teoria teologica e bioetica. In ogni campo e in ogni situazione il Papa si preoccupa delle persone concrete. Per questa ragione le questioni bioetiche sono inserite nel suo più vasto progetto di fraternità universale, nel servizio che la Chiesa è chiamata a rendere a ogni persona, quale creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio.Un no chiaro e fermo all’eutanasiaAbbiamo visto che Francesco rinnova il suo grande no all’eutanasia.Essa non è la risposta che chiedono coloro che sono più fragili nella nostra società. Accettarla significherebbe introdurre la via d’uscita comoda per le vite di scarto. Per il Papa questo sarebbe una vera ferita all’umanità e alla civiltà autentica delle nostre società.Papa Francesco sa bene che la domanda di eutanasia è propria di frange radicali e libertarie, i cui membri quasi sempre hanno tutti i mezzi che desiderano per curarsi nella maniera più adeguata.Perciò Francesco ripropone i grandi motivi teorici che motivano il rifiuto dell’eutanasia. Infatti l’eutanasia è violazione del comandamento di Dio e della trascendenza della persona. Inoltre, l’eutanasia è una forma sbagliata di libertà, perché viola le relazioni di cura tra gli uomini e le relazioni di solidarietà sociale. E ancora, non c’è vera domanda di eutanasia nella società, ma ci sono forze culturali e politiche che vogliono fabbricare ad arte questa domanda, per generare una società senza prossimità, sotto l’apparenza dell’autonomia personale.Ma accanto a queste ragioni il Papa pone la grande questione della cura degli ultimi. Egli colloca tra ultimi tutti gli esseri umani bisognosi di cura ed in particolare, per il tema di cui ci siamo interessati, tutti coloro che sono giunti in una fase della vita in cui la fragilità rende il bisogno di cura e di assistenza più pressante. La sua insistenza nel combattere contro la globalizzazione dell’indifferenza, non può non toccare un tema delicato come quello dell’eutanasia. Crediamo che si possa interpretare il pensiero del Papa dicendo che l’introduzione dell’eutanasia rappresenterebbe una forma estrema di globalizzazione dell’indifferenza, mentre il suo rifiuto esprime l’impegno a realizzare relazioni solidali, di cui tutti abbiamo bisogno e specialmente i malati in condizioni terminali.Una vera autonomia del pazienteAbbiamo pure visto però che il Papa è preoccupato per la dignità della persona umana malata, che potrebbe essere minacciata da una medicina aggressiva.A proposito dell’accanimento terapeutico, rischio che si corre ancora oggi quando si entra in certi percorsi terapeutici, papa Francesco chiede che la libertà della persona malata sia continuamente interpellata e rispettata. Nel messaggio che abbiamo commentato è grandemente enfatizzata la valutazione della persona nella decisione di proporzionalità delle cure. Abbiamo anche percepito la novità del suo insegnamento, per cui se il discernimento che il paziente fa sulle terapie conclude che alcune o tutte costituiscono accanimento terapeutico, la scelta di sospenderle diventa addirittura doverosa. Tutto ciò senza aprire nessuna porta all’abbandono terapeutico dei pazienti, i quali vanno sempre e comunque curati fino alla morte naturale.