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«Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro… alitò su di loro e disse “Ricevete lo Spirito Santo“. (Giovanni, 20, 19, 23)


Dopo settimane di confinamento paralizzante con la chiusura delle chiese e, in pratica, il divieto ufficiale e legale del culto cristiano, la festa di Pentecoste sembra portare un po’ di luce in questa situazione oscura dominata dal timore. Dovrebbe risvegliare gli spiriti intorpiditi. Ci permette almeno di riaprire le nostre chiese al culto cristiano, alle condizioni prescritte dalle autorità civili, con assemblee ristrette, distanti e mascherate. La situazione è un po’ migliorata, ma siamo ancora lontani dal conto, e il fervore dei fedeli potrebbe soffrire di questo lungo periodo di anestesia, senza partecipazione materiale all’Eucaristia. Ci sarà necessario un risveglio.

Nel corso dei secoli che ci precedettero, la Chiesa era sempre stata molto presente, fisicamente, moralmente e spiritualmente al suo popolo e al mondo quando le epidemie imperversavano, decimando le popolazioni, cosa che esse facevano regolarmente. Nonostante i rischi, religiosi, sacerdoti, diaconi, laici si dedicavano ai malati e alle famiglie provate. Molti vi lasciavano la loro salute, se non la loro vita. Queste donne e questi uomini erano testimoni credibili della parola del Signore: «Io ero malato e voi mi avete visitato» (Mt 25,36). Allo stesso tempo la Chiesa della liturgia non si stancava e si moltiplicava in processioni, rogazioni, servizi penitenziali per sollecitare dal Signore la fine del flagello. I luoghi di culto non erano chiusi, anzi, al contrario, e un grande clamore di fede e di speranza saliva verso il cielo. Le «Deo gratias» e le cerimonie gioiose di lode al Signore concludevano i fini dell’epidemia, e la vita ritrovava il suo corso ordinario, nonostante i morti e le fosse comuni. Avevano fatto quello che dovevano fare, nella prova.

Con il COVID 19, niente di tutto questo. La preoccupazione sembra a volte cristallizzarsi più sulle soluzioni idro-alcoliche, le maschere, le distanziazioni, il posto da assegnare ai fedeli nelle absidi vuote, che sul ritorno alla vita di preghiera del Popolo di Dio e sulla sua partecipazione all’Eucaristia. Abbiamo veramente bisogno dello Spirito Santo, Spirito di Fuoco, spirito di purificazione, spirito di sicurezza e di forza d’anima, che viene a scacciare le paure e a suggerire le necessarie iniziative.

Per il medico cristiano, questa festa di Pentecoste è l’occasione di un doppio discernimento, professionale e di fede.

La situazione è stata vissuta professionalmente in modo molto vario dagli uni e dagli altri in funzione della loro partecipazione o meno alla terapia intensiva richiesta da alcuni dei pazienti affetti da COVID. Questo faceva parte del normale dovere professionale del medico, un dovere che ha accettato quando si è impegnato nella professione, al servizio dei malati. Era questo lo spirito di gioiosa abnegazione che ha fatto la grandezza della professione medica, nel corso dei secoli. Ricordiamo da questo punto di vista le parole stesse del Signore: «Così anche voi, quando avete fatto tutto quello che vi era ordinato, dite: “Noi siamo servitori qualunque. Abbiamo fatto solo quello che dovevamo fare». (Luca, 17, 10).

La crisi del COVID, dimostrando alcune debolezze dei nostri sistemi sanitari e ospedalieri, dovute a volte a difficoltà di reclutamento, pone la questione della vocazione medica. I progressi delle tecniche, alcuni miglioramenti diagnostici e terapeutici, una medicina incentrata sull’ospedale nei casi difficili, hanno trasformato l’atto medico stesso, nel suo spirito e nella sua pratica. Apparentemente più efficace, la medicina è diventata più tecnica, meno vicina al paziente. Ha anche perso di ciò che la rendeva una professione speciale, generosa, a volte anche eroica, per tendere a diventare una professione come le altre, dove le questioni di orario, di profitto, di tempo libero contano. Le necessità mediche create dall’epidemia del COVID 19 portano a una revisione di questo stato di cose, sia da parte dei malati che da parte dei pazienti. L’illusione di «potenza» data dai progressi in genetica, rianimazione, alcune farmacologie nuove, si cancella davanti al COVID 19. Rimane l’importanza umana e spirituale dell’accompagnamento del malato, che è insostituibile.

Per il medico cristiano, questa crisi creata dal «coronavirus» è allo stesso tempo l’occasione per dispiegare uno spirito di servizio più intenso, quando si trova a dover assistere i pazienti colpiti dal virus, e anche l’opportunità di rimanere saldamente al servizio dei pazienti non colpiti dal virus, ma che comunque continuano ad avere bisogno del medico e della sua disponibilità. Quest’ultima situazione deve essere assunta con lo stesso spirito di servizio e di abnegazione di quello impiegato per far fronte al COVID 19.

Servizio, abnegazione, pazienza, impegno, cura di tutti i pazienti, ecco un programma che può sembrare molto austero. Eppure è colui che ci chiede Cristo, invitandoci a diventare «suoi amici». È lì che si trova la gioia, la vera gioia, quella che «il mondo» non può dare. «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Giovanni 15,11).

Questo ci porta al secondo discernimento a cui la crisi del COVID chiama il medico cristiano. Un discernimento nella fede. Per vivere giorno dopo giorno il dono di sé, l’accompagnamento del malato, gli orari sconvolti, . la fatica che la professione comporta, il medico cristiano deve saper «rigenerarsi» spiritualmente. È nella fede, il volto rivolto al Padre come faceva Gesù, mantenendo la pace interiore che questo medico può essere efficace tecnicamente, e accompagnare senza stanchezza i suoi pazienti, con o senza COVID 19. Accogliamo lo Spirito, lo Spirito di Gesù Cristo, in questo tempo nebbioso di soluzione idroalcolica, di maschere, e di porte bloccate dalla paura. Questo tempo è il tempo di Pentecoste, il tempo della purificazione, della fedeltà, del dovere compiuto, il tempo della testimonianza.

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« Alors que les portes du lieu où se trouvaient les disciples étaient verrouillées par crainte des Juifs, Jésus vint et il était là, au milieu d’eux. Il souffla sur eux et leur dit “Recevez l’Esprit Saint”. (Jean, 20, 19, 23)

Après des semaines de confinement paralysant avec la fermeture des églises, et, en pratique,  l’interdiction officielle, légale, du culte chrétien,  la fête de Pentecôte semble ramener un peu de lumière dans cette situation obscure dominée par la crainte. Elle devrait ranimer les esprits engourdis. Elle nous permet à tout le moins de rouvrir nos églises au culte chrétien, sous les conditions prescrites par les autorités civiles, avec des assemblées restreintes, distantes  et masquées.  La situation s’est un peu améliorée, mais on est encore loin du compte, et la ferveur des fidèles pourrait  pâtir de cette longue période d’anesthésie, sans participation matérielle à l’Eucharistie. Il y aura une pente à remonter.

Au cours des siècles qui nous précédés, l’Eglise avait toujours été très présente, physiquement, moralement et spirituellement à son peuple et au monde lorsque les épidémies sévissaient, décimant les populations, ce qu’elles faisaient régulièrement.  Malgré les risques, religieux, prêtres, diacres, laïques et laïcs se dépensaient auprès des malades et des familles éprouvées. Beaucoup y laissaient d’ailleurs leur santé, sinon leur vie. Ces femmes et ces hommes étaient témoins crédibles de la parole du Seigneur : « J’étais malade et vous m’avez visité » (Mt 25,36).  En même temps l’Église de la liturgie ne chômait pas et se multipliait en processions, rogations, services pénitentiels pour solliciter du Seigneur la fin du fléau. Les lieux de culte n’étaient pas fermés, bien au contraire, et une grande clameur de foi et d’espérance montait vers le ciel.  Les « deo gratias » et les cérémonies joyeuses de louange au Seigneur concluaient les fins d’épidémie,  et la vie retrouvait son cours ordinaire, malgré les morts et les fosses communes. On avait fait ce qu’on devait faire, dans l’épreuve. 

Avec le COVID 19, rien de tout cela. Le souci semble parfois  se cristalliser davantage sur les solutions hydro-alcooliques, les masques, les distanciations, la place à assigner aux fidèles dans les absides vides, que sur le retour à la vie de prière du Peuple de Dieu et sa participation à l’Eucharistie. Nous avons vraiment besoin de l’Esprit Saint, Esprit de Feu, esprit de purification, esprit d’assurance et de force d’âme, qui vient chasser les peurs et suggérer  les nécessaires initiatives.

Pour le médecin chrétien, cette fête de la Pentecôte est l’occasion d’un double discernement, professionnel et de foi. 

Professionnellement la situation a été vécue de façon très variée par les uns et les autres en fonction de leur participation ou non aux soins intensifs nécessités par certains des patients atteints par le COVID.  Cela faisait partie du devoir professionnel normal du médecin, un devoir qu’il a accepté quand il s’est engagé dans la profession, au service des malades. C’était là  l’esprit d’abnégation joyeuse qui a fait la grandeur de la profession médicale, au cours des siècles. Rappelons nous à ce point de vue les paroles mêmes du Seigneur : « De même, vous aussi, quand vous avez fait tout ce qui vous était ordonné, dites : »Nous sommes des serviteurs quelconques. Nous avons fait seulement ce que nous devions faire ». (Luc, 17, 10).

La crise du COVID, en démontrant certaines faiblesses de nos systèmes de santé et hospitaliers, dues parfois à des difficultés de recrutement, pose la question de la vocation médicale. Les progrès des techniques, certaines améliorations diagnostiques et thérapeutiques, une médecine centrée sur l’hôpital dans les cas difficiles, ont transformé l’acte médical lui-même, dans son esprit et sa pratique. Apparemment plus efficace, la médecine est devenue plus technique, moins proche du patient. Elle a perdu aussi de ce qui la faisait une profession spéciale, généreuse, parfois même héroïque, pour tendre à devenir une profession comme les autres, où les questions d’horaires, de profit, de temps libre comptent. Les nécessités médicales créées par l’épidémie du COVID 19 portent à une révision de cet état de chose, à la fois du côté des malades et du côté des patients. L’illusion de  « puissance » donnée par les progrès en génétique, réanimation, certaines pharmacologies nouvelles,  s’efface devant le COVID 19. Demeure l’importance humaine et spirituelle de l’accompagnement du malade, qui est insubstituable. 

Pour le médecin chrétien, cette crise créée par le « coronavirus » est à la fois l’occasion de déployer un esprit de service plus intense, lorsqu’il se trouve à devoir assister les patients atteints par le virus, et aussi l’occasion de rester fermement au service des patients non atteints par le virus, mais qui n’en continuent pas moins à avoir besoin du médecin et de sa disponibilité. Cette dernière situation doit être assumée avec le même esprit de service et d’abnégation que celui déployé pour faire face au COVID 19. 

Service, abnégation, patience, engagement, souci de tous les patients,  voilà un programme qui peut paraître bien austère. Et pourtant c’est celui que nous demande le Christ, en nous invitant à devenir « ses amis ». C’est là que se trouve la joie, la vraie joie, celle que « le monde » ne peut donner. « Je vous ai dit cela pour que ma joie soit en  vous et que votre joie soit parfaite » (Jean15,11).

Ceci nous conduit au second discernement auquel la crise du COVID appelle le médecin chrétien. Un discernement dans la foi. Pour vivre au jour le jour le don de soi, l’accompagnement du malade, les horaires bouleversés, .la fatigue qu’implique la profession, le médecin chrétien doit savoir se « ressourcer » spirituellement. C’est dans la foi, le visage tourné vers le Père comme le faisait Jésus, en gardant la paix intérieure qu’il peut être efficace techniquement, et accompagner sans lassitude ses patients, avec ou sans COVID 19. Accueillons l’Esprit, l’Esprit de Jésus Christ,  en ce temps brumeux de solution hydro-alcoolique, de masques, et de portes verrouillées par la crainte. Ce temps est le temps de Pentecôte,  le temps de la purification, de la fidélité,  du devoir accompli, le temps du témoignage.

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“Though the doors where the disciples gathered had been locked for fear of the Jews, Jesus came and stood in the midst… and he breathed upon them and said to them, “Receive the Holy Spirit”. (John 20:19, 23).

After weeks of a paralyzing confinement with the closure of the churches, and in practice, the official, legal prohibition of Christian worship, the feast of Pentecost seems to bring some light into this obscure situation dominated by fear. It should revive the numb spirits. At the very least, it allows us to reopen our churches to Christian worship, under the conditions prescribed by the civil authorities, with restricted, remote and masked assemblies. The situation has improved a little, but we are still far from the mark, and the fervor of the faithful could suffer from this long period of anesthesia, without material participation in the Eucharist. There will be a slope to climb back.

In the centuries that preceded us, the Church had always been very present, physically, morally and spiritually, to her people and to the world when epidemics were rampant, decimating populations, which they did regularly. In spite of the risks, religious, priests, deacons, lay people spent their time with the sick and the suffering families. Many among them loosed that way their health, if not their lives. These women and men were true witnesses to the Lord’s word: «I was sick and you visited me». At the same time the liturgical Church was not idle and multiplied in processions, rogations, penitential services to beg the Lord for the end of this misery. The places of worship were certainly not closed, on the contrary, and a great clamor of faith and hope ascended to heaven. Deo gratias and joyful ceremonies of praise to the Lord concluded the end of the epidemic, and life resumed its ordinary course, despite the dead and the mass graves. They had done what they had to do in the ordeal.

With COVID 19, none of that. The concern sometimes seems to crystallize more on the hydro-alcoholic solutions, the masks, the distances to keep, the place to assign to the faithful in empty apses, than on the return of the People of God to prayer life and his participation in the Eucharist. We really need the Holy Spirit, the Spirit of Fire, the spirit of purification, the spirit of confidence, steadfastness and strength of soul, who comes to cast away useless fears and to suggest the necessary initiatives.

For the Christian medical doctor, this feast of Pentecost is the occasion of a double discernment, professional and of faith.

Professionally, the situation has been lived in various ways by each other depending on one’s participation or not in the intensive care required by some of the patients affected by COVID. This demanding care was part of the doctor’s normal professional duty, a duty which entails occasional overloads and being on duty. This was the spirit that animated in past centuries medical doctors and nurses, who often belong to religious orders. A spirit of abnegation. Let us recall at that point the very words of our Lord: « evenso you also, when you have done everything that was commanded you, say: «We are unprofitable servants; we have done what it was our duty to do” (Luke 17:10).


The COVID crisis, by showing some weaknesses in our healthcare organization and public hospital abilities, sometimes due to recruitment difficulties, raises the question of medical vocation. Technical advances, some improvements in diagnosis and therapeutics, high-standard hospitals for difficult cases, have transformed the medical act, in its spirit and practice. Apparently more effective, medicine has become also more technical, less close to the patient. It also lost somehow what made it a special profession, the tradition of giving oneself for the service of the sick, to become a profession like any other, where profit, free time for leisure activities and a limited number of job hours are actually important. The medical necessities created by the epidemic of COVID 19 lead to a review of this state of affairs, both on the side of the patient and on the side of the physician. The illusion of medical “power” provided by advances in genetics, resuscitation, heart support, transplantations and some new drugs, dissolves somehow under the scourge of COVID 19. But remains the physical and spiritual importance of the human accompaniment of the sick by medical doctors and nurses.

For the Christian physician, this “coronavirus” crisis is an opportunity to act with a deeper spirit of service, when he finds himself having to assist patients affected by the virus, and also an invitation to remain faithfully at the service of patients who are not affected by the virus, but who nevertheless need medical assistance. This latter situation must be assumed with the same spirit of service as that needed to face the COVID 19 epidemics.

Spirit of service, abnegation, patience, commitment, concern for all patients, this is a program that seems austere and no much rewarding. And yet it is all that which Christ asks from us, when He invites us to become truly “His friends”. Here we can find the joy, the true joy, the joy that “the world” cannot give. “I have told you this so that my joy may be in you and your joy may be perfect” (John 15:11).

This leads us to the second discernment that catholic physicians should perform in this COVID time. It is discernment on faith.   To live day by day the self-giving,  the long working hours,  the attentive accompaniment of the sick, the disrupted schedules,  the tiredness of caring for the others, with not many thanks in turn,  the Christian medical doctor should have the wisdom know how to “reload” oneself spiritually. It is in a living faith, the face turned towards the Father as Jesus did, keeping an inner peace that only Christ can give, that the Christian physician will find the energy to be technically, professionally effective, and to accompany his patients without weariness, being  they with or without COVID 19. Let us welcome the Holy Spirit, the Spirit of Jesus Christ, in this foggy time of hydro-alcoholic solution, masks, and doors locked by fear. This time is the time of Pentecost, the time of purification, faithfulness, steadfastness, and fulfilled duty. This is a blessed time to be witnesses of the Holy Truth, in the healthcare world. 

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“Mientras las puertas del lugar donde estaban los discípulos estaban cerradas por temor de los judíos, Jesús vino y estaba allí, en medio de ellos. Sopló sobre ellos y les dijo: “Recibid el Espíritu Santo”. (Juan 20, 19, 23)”

Después de semanas de confinamiento paralizante con el cierre de las iglesias y, en la práctica, la prohibición oficial, legal, del culto cristiano, la fiesta de Pentecostés parece traer un poco de luz a esta situación oscura dominada por el miedo. Debería reanimar los espíritus entumecidos. Al menos nos permite reabrir nuestras iglesias al culto cristiano, bajo las condiciones prescritas por las autoridades civiles, con asambleas restringidas, distantes y enmascaradas. La situación ha mejorado un poco, pero aún estamos lejos, y el fervor de los fieles podría sufrir de este largo período de anestesia, sin participación material en la Eucaristía. Habrá una pendiente que subir.

En los siglos que nos han precedido, la Iglesia ha estado siempre muy presente, físicamente, moralmente y espiritualmente, en su pueblo y en el mundo, cuando las epidemias azotaban, diezmando las poblaciones, lo que hacían regularmente. A pesar de los riesgos, religiosos, sacerdotes, diáconos, laicos se dedicaban a los enfermos y a las familias probadas. Muchos dejaban allí su salud, si no su vida. Estas mujeres y estos hombres eran testigos creíbles de la palabra del Señor: « caí enfermo y me visitasteis,” (Mt 25,36). Al mismo tiempo, la liturgia de la Iglesia no estaba inactiva y se multiplicaba en procesiones, rogaciones y servicios penitenciales para pedir al Señor el fin de la plaga. Los lugares de culto no estaban cerrados, sino todo lo contrario, y un gran clamor de fe y de esperanza subía hacia el cielo. Las «Deo gratias» y las alegres ceremonias de alabanza al Señor concluían el fin de la epidemia y la vida volvía a su curso ordinario, a pesar de los muertos y las fosas comunes. Hicieron lo que tuvieron que hacer en el desafío.

Con el COVID 19, nada de eso. La preocupación parece a veces cristalizarse más en las soluciones hidroalcohólicas, las máscaras, las distancias, el lugar que debe asignarse a los fieles en los ábsides vacíos, que en la vuelta a la vida de oración del pueblo de Dios y su participación en la Eucaristía. Realmente necesitamos el Espíritu Santo, el Espíritu de Fuego, el Espíritu de Purificación, el Espíritu de Confianza y Fortaleza de alma, que viene a ahuyentar los miedos y a sugerir las necesarias iniciativas.

Para el médico cristiano, esta fiesta de Pentecostés es ocasión de un doble discernimiento, profesional y de fe.

Profesionalmente, la situación ha sido vivida de manera muy diversa por unos y otros, en función de su participación o no en los cuidados intensivos requeridos por algunos de los pacientes afectados por el COVID. Esto formaba parte del deber profesional normal del médico, un deber que aceptó cuando se incorporó a la profesión, al servicio de los enfermos. Este era el espíritu de abnegación gozosa que ha hecho la grandeza de la profesión médica, a lo largo de los siglos. Recordemos desde este punto de vista las mismas palabras del Señor: « Igualmente vosotros, cuando ya hayáis hecho todo lo que Dios os manda deberéis decir: ‘Somos servidores inútiles; no hicimos más que cumplir con nuestra obligación ». (Lucas 17, 10).

La crisis del COVID, al demostrar algunas debilidades de nuestros sistemas de salud y hospitalarios, debidas a veces a dificultades de contratación, plantea la cuestión de la vocación médica. Los avances tecnológicos, algunas mejoras diagnósticas y terapéuticas, una medicina centrada en el hospital en los casos difíciles, han transformado el propio acto médico, en su espíritu y en su práctica. Aparentemente más eficaz, la Medicina se ha vuelto más técnica, menos cercana al paciente. Ha perdido también de lo que la hacía una profesión especial, generosa, a veces incluso heroica, para tender a convertirse en una profesión como las demás, donde cuentan las cuestiones de horarios, de beneficios, de tiempo libre. Las necesidades médicas creadas por la epidemia del COVID 19 llevan a una revisión de este estado de cosas, tanto por parte de los enfermos como de los pacientes. La ilusión de «potencia» dada por los avances en genética, reanimación, fármacos nuevos, se desvanece ante el COVID 19. Queda la importancia humana y espiritual del acompañamiento del enfermo, que es insustituible.

Para el médico cristiano, esta crisis creada por el «coronavirus» es a la vez ocasión de desplegar un espíritu de servicio más intenso, cuando se ve obligado a asistir a los pacientes afectados por el virus, y también la oportunidad de permanecer firmemente al servicio de los pacientes no afectados por el virus, pero que no dejan de necesitar del médico y de su disponibilidad. Esta última situación debe ser asumida con el mismo espíritu de servicio y abnegación que el desplegado para hacer frente al COVID 19.

Servicio, abnegación, paciencia, compromiso, preocupación por todos los pacientes; este es un programa que puede parecer austero. Y, sin embargo, es el que nos pide Cristo, invitándonos a ser «sus amigos». Allí está la alegría, la verdadera alegría, la que «el mundo» no puede dar. « Os hablo así para que os alegréis conmigo y vuestra alegría sea completa. » (Juan 15,11).

Esto nos lleva al segundo discernimiento al que la crisis del COVID llama al médico cristiano. Un discernimiento en la Fe. Para vivir día a día el don de sí, el acompañamiento del enfermo, los horarios trastornados. la fatiga que implica la profesión, el médico cristiano debe saber «recargarse» espiritualmente. En la Fe, con el rostro orientado al Padre como lo hacía Jesús, manteniendo la paz interior, puede ser técnicamente eficaz y acompañar sin cansancio a sus pacientes, con o sin COVID 19. Recibamos el Espíritu, el Espíritu de Jesucristo, en este tiempo brumoso de solución hidroalcohólica, de máscaras, y de puertas cerradas por el miedo. Este tiempo es el tiempo de Pentecostés, el tiempo de la purificación, de la fidelidad, del deber cumplido, el tiempo del testimonio.