DUC IN ALTUM!
I medici e la nuova Evangelizzazione
Riflessioni ad un anno dalla Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II:
“Novo Millennio Ineunte”
Dr Gian Luigi GIGLI, presidente della FIAMC

1. La responsabilità della nuova evangelizzazione
2. Il contenuto dell’annuncio cristiano
3. Le condizioni per annunciare la buona novella
4. Le caratteristiche che rendono credibile l’opera della evangelizzazione
5. La comunione
6. La corresponsabilità ecclesiale
7. La carità
8. Lo stile del buon samaritano
9. La fantasia della carità: nuove opere per nuovi bisogni
10. La scienza bio-medica
11. L’inculturazione dell’annuncio cristiano
12. La responsabilità socio-politica
DUC IN ALTUM ! Gettiamo ancora le reti!

1. La responsabilità della nuova evangelizzazione
L’anno 2000, appena trascorso, è stato l’anno del Grande Giubileo. La Chiesa ha ricordato i duemila anni dell’Incarnazione di Cristo, il grande evento che ha diviso la storia e che la Chiesa stessa continua ad attualizzare nel tempo. Il Giubileo è stato occasione di ringraziamento, di lode, di conversione. Nel corso di esso abbiamo fatto esperienza della misericordia di Dio.Anche noi, medici cattolici, abbiamo sperimentato la grazia del Giubileo, sia a livello individuale, nel segreto del nostro cuore, sia a livello diocesano e nazionale nei momenti proposti dalle nostre Associazioni. L’abbiamo sperimentata come dono ancora più grande nella cattolicità della Chiesa, quando l’11 febbraio abbiamo partecipato a Roma al Giubileo dei Malati e degli Operatori Sanitari e quando, in occasione del nostro 20° Congresso Mondiale tenutosi a Roma dal 3 al 7 luglio, abbiamo vissuto con il Papa il Giubileo dei Medici.

Ora che il Giubileo è terminato e siamo ritornati nella quotidianità della nostra vita professionale e del nostro impegno pastorale, ci chiediamo: cosa resta del Grande Giubileo? E’ stato esso solo un momento celebrativo? Oppure la grazia e la misericordia riversatesi su di noi con abbondanza hanno dato nuova forza e nuovo slancio alla nostra vita di cristiani?

Gli stessi nostri interrogativi sono stati oggetto di profonde riflessioni del Santo Padre Giovanni Paolo II, che, a conclusione del Grande Giubileo, ha ritenuto opportuno proporle a tutta la Cristianità nella Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte (NMI), pubblicata il 6 gennaio di quest’anno.1

Nella Lettera, il Papa ci invita ad andare avanti, a guardare al terzo millennio della Chiesa, a prendere il largo con la barca di Pietro per portare a tutti gli uomini l’annuncio della grazia e della gioia cristiana. Duc in altum! È l’esortazione con cui il Papa, riproponendoci le parole del Signore Gesù, ci invita a portare il lieto annuncio del Vangelo a tutti gli uomini: il nuovo millennio, come frutto del Grande Giubileo, deve essere il millennio della nuova evangelizzazione.

In questo articolo vorrei declinare la Lettera Apostolica NMI nello specifico della nostra vita professionale e della vita delle nostre Associazioni di Medici Cattolici, nella convinzione che, seguendo la strada indicataci dal Papa, potremo essere fattore di cambiamento dei singoli, della cultura medica e dell’intera società.

L’esortazione alla evangelizzazione percorre infatti tutta la NMI, fin dal suo incipit, quando il Papa scrive:
All’inizio del nuovo millennio, mentre si chiude il Grande Giubileo in cui abbiamo celebrato i duemila anni della nascita di Gesù e un nuovo tratto di cammino si apre per la Chiesa, riecheggiano nel nostro cuore le parole con cui un giorno Gesù, dopo aver parlato alle folle dalla barca di Simone, invitò l’Apostolo a ” prendere il largo ” per la pesca: ” Duc in altum ” (Lc 5,4). Pietro e i primi compagni si fidarono della parola di Cristo, e gettarono le reti. ” E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci ” (Lc 5,6) (NMI, 1).

Più avanti il Papa afferma che, all’inizio del nuovo millennio:
l’impegno dell’evangelizzazione, è sicuramente una priorità per la Chiesa … È ormai tramontata, anche nei Paesi di antica evangelizzazione, la situazione di una ” società cristiana “, che,pur tra le tante debolezze che sempre segnano l’umano, si rifaceva esplicitamente ai valori evangelici. Oggi si deve affrontare con coraggio una situazione che si fa sempre più varia e impegnativa, nel contesto della globalizzazione e del nuovo e mutevole intreccio di popoli e culture che la caratterizza. Ho tante volte ripetuto in questi anni l’appello della nuova evangelizzazione. Lo ribadisco ora, soprattutto per indicare che occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall’ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste. Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: ” Guai a me se non predicassi il Vangelo! ” (1 Cor 9,16)(NMI,40).

Questa passione non mancherà di suscitare nella Chiesa una nuova missionarietà, che non potrà essere demandata ad una porzione di “specialisti “, ma dovrà coinvolgere la responsabilità di tutti i membri del Popolo di Dio. Chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo. Occorre un nuovo slancio apostolico che sia vissuto quale impegno quotidiano delle comunità e dei gruppi cristiani (NMI,40).

Evangelizzare vuol dire diffondere la luce di Cristo a coloro che non la conoscono o non la vedono.
Noi – scrive il Papa – abbiamo il compito stupendo ed esigente di esserne il ” riflesso “. È il mysterium lunae così caro alla contemplazione dei Padri, i quali indicavano con tale immagine la dipendenza della Chiesa da Cristo, Sole di cui essa riflette la luce. Era un modo per esprimere quanto Cristo stesso dice, presentandosi come “luce del mondo ” (Gv 8,12) e chiedendo insieme ai suoi discepoli di essere ” la luce del mondo ” (Mt 5,14) (NMI, 54).

Oggi tuttavia, l’Evangelizzazione viene considerata con sospetto dalle società moderne ed è fuori moda anche nella Chiesa stessa. In nome del dialogo interreligioso e per rispetto dei germi di verità contenuti nelle altre religioni, molti rinunciano a proporre Cristo, luce del mondo, pervenendo di fatto ad una sorta di indifferentismo religioso. L’assioma alla base di questo atteggiamento è che non dobbiamo imporre niente a nessuno. Tuttavia, questo tipo di approccio è fuorviante. Non dobbiamo imporre, ma abbiamo la missione di presentare la nostra fede. E’ sorprendente, per esempio, che nelle società europee, dove l’Islam è la seconda confessione, e a volte la prima in termini di pratica, non venga compiuto nessuno sforzo per presentare la Buona Novella Cristiana. Sembriamo essere indifferenti alla fede dei nostri fratelli. Di nuovo, non è un problema di imposizione, ma bensì di essere convinti della bellezza della vita Cristiana che viene proposta, per noi in campo medico, per altri in altre realtà temporali. 2

E’ questo anche il pensiero del Papa che invita i Cristiani a sviluppare il dialogo senza rinunciare a testimoniare pienamente la speranza che è in noi:
Il dialogo non può essere fondato sull’indifferentismo religioso, e noi cristiani abbiamo il dovere di svilupparlo offrendo la testimonianza piena della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3,15). Non dobbiamo aver paura che possa costituire offesa all’altrui identità ciò che è invece annuncio gioioso di un dono che è per tutti, e che va a tutti proposto con il più grande rispetto della libertà di ciascuno: il dono della rivelazione del Dio-Amore che ” ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito ” (Gv 3,16). Tutto questo, come è stato anche recentemente sottolineato dalla Dichiarazione Dominus Iesus, non può essere oggetto di una sorta di trattativa dialogica, quasi fosse per noi una semplice opinione: è invece per noi grazia che ci riempie di gioia, è notizia che abbiamo il dovere di annunciare (NMI, 56).

Se ai Crisitani è chiesto di andare al dialogo intimamente disposti all’ascolto, tuttavia, afferma il Papa, la Chiesa non si può sottrarre all’attività missionaria verso i popoli, e resta compito prioritario della missio ad gentes l’annuncio che è nel Cristo, ” Via, Verità e Vita ” (Gv 14,6), che gli uomini trovano la salvezza. Il dialogo interreligioso ” non può semplicemente sostituire l’annuncio, ma resta orientato verso l’annuncio “ (NMI, 56).

2. Il contenuto dell’annuncio cristiano
Abbiamo visto fin qui l’urgenza della evangelizzazione, responsabilità e impegno delle comunità e dei gruppi cristiani. Possiamo ora chiederci in che cosa consista la lieta novella da annunciare o, in altre parole, quale sia il contenuto dell’annuncio cristiano.
Quello che noi annunciamo non è certamente una cosa, non è un programma, non è una filosofia od una visione etica, seppur nobilissima. Ancora meno, si tratta di una ideologia o di un potere, sia pure quello della Chiesa. Noi, evangelizzando il mondo, annunciamo una persona, Gesù Cristo stesso. Annunciamo la novità assoluta di un Dio che si è fatto uomo, ha preso carne umana e, per l’uomo, ha patito, è morto ed è risorto. Questo è l’avvenimento che ha sconvolto la storia e che infiamma il nostro cuore e dà senso al nostro operare. Questo è anche ciò che il mondo attende. Il mondo tuttavia, più che sentir parlare di Cristo, si attende da noi che gli mostriamo il Cristo; vuole, guardando noi, poter vedere Gesù.
” Vogliamo vedere Gesù ” (Gv 12,21). Questa richiesta, fatta all’apostolo Filippo da alcuni Greci che si erano recati a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale, è riecheggiata spiritualmente anche alle nostre orecchie in questo Anno giubilare. Come quei pellegrini di duemila anni fa, gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di ” parlare ” di Cristo, ma in certo senso di farlo loro ” vedere “. E non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio?
La nostra testimonianza sarebbe, tuttavia, insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto
(NMI, 16).
La contemplazione del volto di Cristo è proposta dal Papa alla devozione di tutti i cristiani come fondamento della nuova evangelizzazione. Si tratta, è ovvio, di contemplare il volto di Cristo per poter rifletterne la luce. Vi è però un volto di Cristo che interroga particolarmente noi medici. Abituati nella nostra professione a stare vicini all’uomo che soffre, siamo particolarmente affascinati dalla sofferenza del Dio fatto Uomo, dal volto sofferente dell’Uomo del Getsemani e della Via Crucis, dal volto ricopertosi di ecchimosi, di ferite e di sangue nel corso della passione e consegnatoci dal lino della sindone.
Contemplando, come medici, questo volto sofferente, noi troviamo forza ed ispirazione per contemplare il volto di ogni uomo sofferente, per guardarlo con occhi nuovi, come volto salvato dal volto sanguinante di Cristo, come volto prezioso, perché riscattato a caro prezzo, come volto dotato di dignità divina anche quando sfigurato e quasi irriconoscibile, perche volto assunto dal Dio che si è fatto Uomo.
Contemplando il Volto della passione, eserciteremo la nostra professione con cuore nuovo ed occhi nuovi e faremo vedere al mondo Cristo, la sua radicale novità.
Questi concetti, apparentemente antichi, sono infatti radicalmente nuovi per la medicina di oggi. La medicina, infatti, fa oggi fatica a riconoscere ad ogni essere umano la sua dignità e può quindi essere disponibile a manipolare l’essere umano allo stadio di embrione; può partecipare alla soppressione di esseri umani allo stadio fetale per mezzo dell’aborto; con l’eutanasia, può prendere parte all’eliminazione di esseri umani ai quali non è riconosciuta una sufficiente qualità della vita, perché malati terminali, o perché in essi la luce della mente umana si è spenta nella condizione di stato vegetativo persistente o perché gravemente ritardati o affetti da demenza.
Inoltre, quando perdiamo di vista il concetto che tutti gli uomini, in tutte le fasi della loro vita, possiedono la stessa dignità come persone, la medicina può essere tentata di rivolgersi selettivamente a coloro che hanno i mezzi per essere curati, oppure può contribuire a dirigere i finanziamenti pubblici verso i problemi che concernono le élites, dimenticando problemi riguardanti realtà sociali più vaste, seppur di minore interesse scientifico-tecnologico. O può approvare una distribuzione delle risorse su scala planetaria che sembra accettare passivamente il fatto che esistono gruppi di persone condannate alla malnutrizione, alle epidemie, alla mortalità infantile. Per questa medicina, l’annuncio cristiano, il cristianesimo sono concetti di una novità assoluta, fondamento di una pratica della medicina totalmente diversa rispetto a quella dominante.

3. Le condizioni per annunciare la buona novella
Il Volto di Cristo è dunque il contenuto della nostra evangelizzazione, ma, ci chiediamo, in che modo dobbiamo annunciarlo? Che cosa dobbiamo fare per portare a tutti la lieta novella? Il Papa ci invita innanzi tutto a non cadere in un equivoco.

No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!
Non si tratta, allora, di inventare un ” nuovo programma “. Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace
. (NMI, 29).

Questo programma di sempre è il nostro programma anche per il terzo millennio. E’ per questo che il Papa si limita ad indicarci i requisiti, le condizioni per un lavoro pastorale efficace, capace di annunciare la buona novella.

Non è questa la sede per esaminare in dettaglio le condizioni proposteci dal Papa. Ritengo tuttavia doveroso almeno accennarle.

In primo luogo -scrive il Papa- non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità….(NMI, 30)

In realtà, porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze….(NMI, 31)

… sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale (NMI, 31).

Tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione. È però anche evidente che i percorsi della santità sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone. Essa dovrà integrare le ricchezze della proposta rivolta a tutti con le forme tradizionali di aiuto personale e di gruppo e con forme più recenti offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla Chiesa (NMI, 31).

Mi chiedo se, nell’ambito delle nostre Associazioni dei Medici Cattolici, tale pedagogia della santità, proprio per le specifiche esigenze dei medici, non dovrebbe essere più attenta a proporre modelli di uomini e donne che hanno santificato la propria vita esercitando la professione medica.

Il calendario non manca di figure di santi medici. Credo che la nostra professione sia la più rappresentata tra le schiere dei santi, dopo ovviamente i vescovi, i sacerdoti e le suore. Mi viene anzi il dubbio che la nostra, forse, avrebbe potuto essere la categoria più numerosa, se, epidemiologicamente parlando, non vi fosse a monte un bias di selezione: tutto il processo di selezione è in fatti in mano al clero e noi veniamo chiamati solo a valutare l’attendibilità dei miracoli.

In una sua recente raccolta, il Dr. Richard Watson del New Jersey ci propone almeno trentatre santi medici, dichiarandosi convinto a priori che la lista non sia completa. Alcuni di essi sono noti a tutti, come il nostro santo patrono, l’evangelista Luca, o come i santi fratelli Cosma e Damiano, chiamati anargiri perché non si facevano pagare per le loro cure (è forse per questo che per noi è diventato più difficile diventare santi?).
Ci sono poi santi medici sconosciuti ai più, come San Pantaleone, San Diomende, Sant’Emiliano, oppure Santi molto famosi in medicina come Nicolò Stenone o Antonio Maria Zaccaria.

Infine ci sono santi medici modernissimi, come il Prof. Giuseppe Moscati e la Dr.ssa Gianna Beretta Molla. Entrambi laici, il primo, santificato quasi a furor di popolo, insegnò ed esercitò la professione a Napoli, mentre la seconda, pediatra a Milano e membro della locale Associazione dei Medici Cattolici, dopo una feconda testimonianza nella professione e nella famiglia, sacrificò la sua vita per amore alla vita, rinunciando a curarsi per poter dare alla luce la sua ultima figlia.

Altri medici non sono ancora beatificati, ma sarebbe quasi un dovere morale delle nostre Associazioni proporne la causa di beatificazione. Penso per esempio al Prof. Nagai, un convertito giapponese che insegnò nella Università di Nagasaki, il quale morì dopo aver fatto opera di evangelizzazione durante lunghi anni di sofferenze, conseguenza della bomba atomica che era caduta nel cuore del quartiere abitato dalla fiorente comunità cattolica di Nagasaki, distruggendolo. Anche la moglie di Nagai, che l’aveva convertito al Cristianesimo, era morta nell’esplosione. (Anche allora gli americani parlavano di “bombe intelligenti”!).

Penso a Jerôme Lejeune, che fece della sua vita, della sua ricerca scientifica una testimonianza appassionata, coerente ed intelligente della bellezza e della umanità del Magistero della Chiesa e che con fede e speranza offrì la sofferenza che accompagnò le fasi finali della sua vita come sacrificio a Dio per ottenere da Lui la protezione della vita umana nel momento in cui essa era aggredita, in tutto il mondo, dagli stessi medici. Ringrazio il Signore di aver avuto il privilegio di incontrarlo più volte e di discutere con lui della possibilità di una ricerca scientifica in favore dell’uomo, soprattutto a riguardo dei bambini con disabilità mentale.

Altri santi in attesa di riconoscimento infine, pur non esssendo medici, meriterebbero la laurea honoris causa in medicina, come il Dr. Marcello Candia, un imprenditore che, come un novello San Francesco, si spogliò di tutte le sue ricchezze per costruire centri di assistenza per i lebbrosi e vivere in mezzo ad essi in Brasile. Ebbi un giorno la fortuna di mangiare con lui nella sua Milano, dove periodicamente tornava a stendere la mano, lui che era stato ricco, chiedendo l’elemosina per i suoi lebbrosi brasiliani.

Abbiamo quindi, per fortuna, solo l’imbarazzo della scelta, nel proporre ai nostri medici modelli da seguire, sia storici che attuali. Ma, per poter educarsi ed educare alla santità, scrive ancora il Papa, c’è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera (NMI, 32).

E’ un dato di fatto che, nel mondo di oggi, nonostante il processo di secolarizzazione, è presente una diffusa esigenza di spiritualità. Essa si esprime proprio in un rinnovato bisogno di preghiera (NMI, 33).

Non è forse nostra responsabilità, come singoli e come Associazioni, se spesso questo bisogno si sente inappagato nella Chiesa e cerca soddisfazione nella fuga in altre religioni e nelle sette? Non è forse responsabilità anche di noi medici cattolici se l’uomo di oggi cerca in queste sette, in queste nuove e talora antiche forme di spiritualità una risposta anche al suo bisogno di guarigione fisica e spirituale?

Giustamente il Papa ci invita a riappropriarci della grande tradizione mistica della Chiesa, sia di Oriente che di Occidente. Egli invita a far sì che le nostre comunità cristiane diventino autentiche ” scuole ” di preghiera, dove l’incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino ad un vero ” invaghimento ” del cuore. Una preghiera intensa, dunque, che tuttavia non distoglie dall’impegno nella storia: aprendo il cuore all’amore di Dio, lo apre anche all’amore dei fratelli, e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio.18 (NMI, 33).

E’ questa una richiesta ed un progetto che vale anche per le nostre Associazioni di Medici Cattolici: essere autentiche scuole di preghiera.

Il Papa ci invita poi a porre il massimo impegno nella liturgia eucaristica domenicale; a riscoprire il sacramento della riconciliazione, per gustare la misericordia di Dio e fronteggiare la crisi del senso del peccato che affligge la società contemporanea; a porre rinnovato ascolto alla Parola di Dio, per rivitalizzare l’opera della evangelizzazione.

Santità, preghiera, ascolto della Parola, liturgia eucaristica domenicale, sacramento della riconciliazione: è questo l’itinerario che il Papa ci indica per por mano al nostro lavoro di evangelizzazione. Seguendo questo itinerario, l’opera della evangelizzazione non sarà forse più facile, ma certo potremo affrontarla senza alcuna ansia, liberi soprattutto dall’ansia del fare e del programmare.

C’è una tentazione che da sempre insidia ogni cammino spirituale e la stessa azione pastorale: quella di pensare che i risultati dipendano dalla nostra capacità di fare e di programmare. Certo, Iddio ci chiede una reale collaborazione alla sua grazia, e dunque ci invita ad investire, nel nostro servizio alla causa del Regno, tutte le nostre risorse di intelligenza e di operatività. Ma guai a dimenticare che ” senza Cristo non possiamo far nulla ” (cfr Gv 15,5).

La preghiera ci fa vivere appunto in questa verità. Essa ci ricorda costantemente il primato di Cristo e, in rapporto a lui, il primato della vita interiore e della santità. Quando questo principio non è rispettato, c’è da meravigliarsi se i progetti pastorali vanno incontro al fallimento e lasciano nell’animo un avvilente senso di frustrazione? Facciamo allora l’esperienza dei discepoli nell’episodio evangelico della pesca miracolosa: ” Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla ” (Lc 5,5) (NMI, 38).

4. Le caratteristiche che rendono credibile l’opera della evangelizzazione
Abbiamo ripercorso insieme al Papa le condizioni per proporre agli altri l’incontro con Cristo. Il Santo Padre ci indica anche le caratteristiche che rendono credibile l’opera della evangelizzazione. Esse possono essere riassunte in un’unica caratteristica fondamentale, quella dell’Amore.
” Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri ” (Gv 13,35). Se abbiamo veramente contemplato il volto di Cristo, carissimi Fratelli e Sorelle, la nostra programmazione pastorale non potrà non ispirarsi al ” comandamento nuovo ” che egli ci ha dato: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). (NMI, 42)
La caratteristica fondamentale dell’Amore, si declina a sua volta in tre segni della credibilità dell’annuncio: la comunione ecclesiale, la corrresponsabilità ecclesiale, la carità.

5. La comunione
La comunione, innanzitutto. Il Papa ci invita a
Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo (NMI, 43).
Ciò vale ovviamente anche per le nostre Associazioni, dalle quali nessuno deve sentirsi escluso, case di comunione e scuole di santità nelle quali la santità è proposta come un cammino e non richiesta come una pretesa, per le quali il rapporto con le altre associazioni e movimenti ecclesiali non è di concorrenza, ma di collaborazione, per le quali la comunione con il Vescovo e con la Santa Sede è un bisogno dello spirito, prima ancore che un dovere.

6. La corresponsabilità ecclesiale
È necessario perciò che la Chiesa del terzo millennio stimoli tutti i battezzati e cresimati a prendere coscienza della propria attiva responsabilità nella vita ecclesiale (NMI, 46).

Riflettere sulla nostra responsabilità pastorale non vuol dire ovviamente pensare innanzitutto alla nostra partecipazione ai consigli pastorali degli ospedali o alle commissioni di pastorale sanitaria delle diocesi. Vuol dire soprattutto che all’interno degli ospedali, il Medico Cattolico può contribuire notevolmente alla pastorale della Chiesa, nelle situazioni dove uomini e donne si trovano a confrontarsi con le domande più drammatiche della loro vita, quelle alla base dell’esperienza religiosa: Chi sono? Perché nasciamo? Cosa significa la sofferenza? Perché devo morire e cosa c’è dopo la morte? In alcune circostanze, egli può essere più importante del sacerdote, per lo meno quando il sacerdote non è disponibile o non viene accettato.

Non solo, anche nelle parrocchie e nelle scuole il Medico Cattolico può ricoprire un ruolo importante, nei corsi di preparazione al matrimonio, o nell’educazione sessuale per i giovani. Il Medico Cattolico è un attore della Pastorale della Chiesa, condivide il ministero apostolico. Cristo ha mandato gli Apostoli a proclamare il Regno di Dio e a guarire (Luca, 9,2).

Ma il Papa aggiunge:
In particolare, sarà da scoprire sempre meglio la vocazione che è propria dei laici, chiamati come tali a ” cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio ” ed anche a svolgere ” i compiti propri nella Chiesa e nel mondo […] con la loro azione per l’evangelizzazione e la santificazione degli uomini “.
In questa stessa linea, grande importanza per la comunione riveste il dovere di promuovere le varie realtà aggregative, che sia nelle forme più tradizionali, sia in quelle più nuove dei movimenti ecclesiali, continuano a dare alla Chiesa una vivacità che è dono di Dio e costituisce un’autentica ” primavera dello Spirito “. Occorre certo che associazioni e movimenti, tanto nella Chiesa universale quanto nelle Chiese particolari, operino nella piena sintonia ecclesiale e in obbedienza alle direttive autorevoli dei Pastori. Ma torna anche per tutti, esigente e perentorio, il monito dell’Apostolo: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1 Ts 5,19-21). (NMI, 46)

Come non vedere in questo appello del Papa un invito pressante a sviluppare e potenziare il lavoro delle nostre Associazioni di Medici Cattolici, affinché, al di là della testimonianza personale, sia immediatamente visibile, nel nostro agire, il volto della Chiesa, cioè il volto stesso di Cristo nel tempo di oggi?

7. La carità
Dalla comunione intra-ecclesiale, la carità si apre per sua natura al servizio universale, proiettandoci nell’impegno di un amore operoso e concreto verso ogni essere umano. È un ambito, questo, che qualifica in modo ugualmente decisivo la vita cristiana, lo stile ecclesiale e la programmazione pastorale. Il secolo e il millennio che si avviano dovranno ancora vedere, ed anzi è auspicabile che lo vedano con forza maggiore, a quale grado di dedizione sappia arrivare la carità verso i più poveri. Se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi: ” Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi ” (Mt 25,35-36). Questa pagina non è un semplice invito alla carità: è una pagina di cristologia, che proietta un fascio di luce sul mistero di Cristo. Su questa pagina, non meno che sul versante dell’ortodossia, la Chiesa misura la sua fedeltà di Sposa di Cristo (NMI, 49).

8. Lo stile del buon samaritano
Il nostro lavoro, ben fatto, fatto riconoscendo nel volto del paziente il volto sofferente di Cristo e la Sua dignità, è già opera di carità, è partecipazione originale e specialissima al ministero della salvezza. Esso, come dice il Papa:
…testimonia lo stile dell’amore di Dio, la sua provvidenza, la sua misericordia, e in qualche modo si seminano ancora nella storia quei semi del Regno di Dio che Gesù stesso pose nella sua vita terrena venendo incontro a quanti ricorrevano a lui per tutte le necessità spirituali e materiali (NMI, 49).
Cosa è il Vangelo infatti se non un annuncio di salvezza, un annuncio di salute e di guarigione? Gesù passò annunciando il Regno di Dio e risanando gli infermi. La salvezza rende possibile anche la salute fisica (Và la tua fede ti ha salvato, dice Cristo al cieco). All’inverso sono le guarigioni a dare la prima testimonianza della potenza del Salvatore, a rendere credibile la sua predicazione. L’opera della carità, tanto più l’opera di noi medici, se fatta riconoscendo il volto di Cristo nei pazienti e con lo stile del buon samaritano, può dare particolare credibilità all’annuncio del Vangelo.

La Pastorale della Chiesa nel mondo della Salute necessita di laici per compiere il mandato di Cristo: annunciare il Vangelo e sanare i malati. Sanare i malati non è secondario, ma è quasi una parte integrante dell’evangelizzazione, è ciò che la rende credibile. Gesù stesso ha definito il suo annuncio come “sanare gli ammalati”.

L’amore misericordioso e taumaturgico di Cristo si manifesta specialmente quando accettiamo di offrire le nostre abilità a coloro che non possono darci niente in cambio. Abbiamo la responsabilità di mostrare il volto di Cristo a coloro che sono poveri o che non hanno accesso a livelli standard di qualità in medicina a causa del loro stato economico o delle loro condizioni sociali e psicologiche.

9. La fantasia della carità: nuove opere per nuovi bisogni
Ma non basta il nostro essere, singolarmente, dei buoni samaritani. Il Papa ci propone un orizzonte molto più vasto, all’interno del quale vi è un grande spazio per forme associate di testimonianza, quali sono o possono essere le nostre Associazioni di Medici Cattolici.

In effetti sono tanti, nel nostro tempo, i bisogni che interpellano la sensibilità cristiana. Il nostro mondo comincia il nuovo millennio carico delle contraddizioni di una crescita economica, culturale, tecnologica, che offre a pochi fortunati grandi possibilità, lasciando milioni e milioni di persone non solo ai margini del progresso, ma alle prese con condizioni di vita ben al di sotto del minimo dovuto alla dignità umana. È possibile che, nel nostro tempo, ci sia ancora chi muore di fame? chi resta condannato all’analfabetismo? chi manca delle cure mediche più elementari? chi non ha una casa in cui ripararsi?

Lo scenario della povertà può allargarsi indefinitamente, se aggiungiamo alle vecchie le nuove povertà, che investono spesso anche gli ambienti e le categorie non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso, all’insidia della droga, all’abbandono nell’età avanzata o nella malattia, all’emarginazione o alla discriminazione sociale…
…Si tratta di continuare una tradizione di carità che ha avuto già nei due passati millenni tantissime espressioni, ma che oggi forse richiede ancora maggiore inventiva (NMI, 50).

Nel corso dei secoli la Chiesa ha sviluppato diaconati, ostelli per i pellegrini, infermerie monastiche, ordini religiosi dedicati all’assistenza dei malati. E’ per questa ragione che la Chiesa ha inventato il concetto di Ospedale e ha largamente contribuito a sviluppare quelle caratteristiche che noi oggi conosciamo. Anche quando gli stati moderni, dopo la Rivoluzione Francese, hanno incominciato ad interessarsi della salute, al fine di mantenere alto l’ideale di assistenza sanitaria, la Chiesa ha favorito la fondazione di istituzioni sanitarie cattoliche in tutto il mondo. Dai grandi e prestigiosi ospedali e facoltà di medicina delle Università Cattoliche ai dispensari nei paesi di missione. Tuttora, la Chiesa è il principale fornitore non governativo di servizi sanitari del mondo.

Questo sforzo enorme non è indirizzato soltanto a rimediare al fatto che i governi non hanno mostrato alcun interesse per certe forme di povertà e marginalizzazione; lo sforzo era ed è testimone del fatto che l’attenzione diretta alla persona umana non è vera a meno che non coinvolga l’uomo intero, anche quando è fragile, debole, e a meno che non siano coinvolti tutti gli uomini, anche quando sono stati abbandonati, e il loro peso sociale e la loro importanza nella società della produttività e dei beni non sono più significativi.
E’ per questa ragione che possiamo dire con orgoglio che lo sforzo della Chiesa nel mondo della salute ha contribuito notevolmente allo sviluppo della civiltà umana, favorendo in tutto il mondo la crescita di una cultura della misericordia e della compassione, dei diritti e del rispetto dell’uomo in tutte le situazioni della vita e in tutte le fasi dell’esistenza 3.

Oggi tuttavia È l’ora di una nuova ” fantasia della carità “, che si dispieghi non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito non come obolo umiliante, ma come fraterna condivisione.

Dobbiamo per questo fare in modo che i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come ” a casa loro “. Non sarebbe, questo stile, la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno?
Senza questa forma di evangelizzazione, compiuta attraverso la carità e la testimonianza della povertà cristiana, l’annuncio del Vangelo, che pur è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone. La carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole
(NMI, 50).

La presenza della Chiesa nel mondo sanitario era ed è dettata dalla consapevolezza che è precisamente quando l’uomo esprime il bisogno di essere sano che è portato a porsi le fondamentali domande della vita, il significato del nascere, del soffrire, del morire. La Chiesa è consapevole che una risposta corretta a queste domande può anche condizionare la risposta ad altre domande sulle quali si fonda la coscienza religiosa dell’uomo. Chi sono? Dove vado? Che significato ha la mia vita? Il bisogno di recuperare la salute può portare a chiedere la salvezza (salus).

E’ per queste ragioni che, anche negli ospedali non cattolici, la Chiesa favorisce sempre la presenza di cappellani, di suore degli ordini infermieristici, di dottori e di infermiere con una formazione e una fede cattoliche, di volontari ispirati dal modello del Buon Samaritano.

Se queste sono le ragioni per una presenza, come non sentire, quando il Papa parla della malnutrizione, della mancanza di cure mediche di base, della disperazione, della droga, dell’abbandono dei vecchi e dei malati, della emarginazione sociale, un appello a noi medici, la riproposta della spiritualità del Buon Samaritano, l’invito ai singoli medici e, ancor più, alle nostre Associazioni di Medici Cattolici ad inventare nuove forme di servizio ai poveri, a scoprire nuove forme di asstenza sanitaria per le nuove povertà presenti anche nelle città della ricchezza, ad essere presenti nello scenario della cooperazione sanitaria internazionale con i Paesi in via di sviluppo ?

Tante sono le urgenze, alle quali l’animo cristiano non può restare insensibile (NMI, 51).
E cita il dissesto ecologico, i problemi della pace, il vilipendio dei diritti umani fondamentali, specialmente dei bambini.

10. La scienza bio-medica
Un ambito importante della carità è poi quello della scienza bio-medica. Si tratta della carità più importante, la carità intellettuale, affinché la scienza medica non smarrisca i suoi fini di aiuto all’uomo e non diventi invece strumento di distruzione e selezione della vita umana.

Poi aggiunge:
Un impegno speciale deve riguardare alcuni aspetti della radicalità evangelica che sono spesso meno compresi, fino a rendere impopolare l’intervento della Chiesa, ma che non possono per questo essere meno presenti nell’agenda ecclesiale della carità. Mi riferisco al dovere di impegnarsi per il rispetto della vita di ciascun essere umano dal concepimento fino al suo naturale tramonto. Allo stesso modo, il servizio all’uomo ci impone di gridare, opportunamente e importunamente, che quanti s’avvalgono delle nuove potenzialità della scienza, specie sul terreno delle biotecnologie, non possono mai disattendere le esigenze fondamentali dell’etica, appellandosi magari ad una discutibile solidarietà, che finisce per discriminare tra vita e vita, in spregio della dignità propria di ogni essere umano.

Per l’efficacia della testimonianza cristiana, specie in questi ambiti delicati e controversi, è importante fare un grande sforzo per spiegare adeguatamente i motivi della posizione della Chiesa, sottolineando soprattutto che non si tratta di imporre ai non credenti una prospettiva di fede, ma di interpretare e difendere i valori radicati nella natura stessa dell’essere umano (NMI, 51).

Tutto questo ovviamente dovrà essere realizzato con uno stile specificamente cristiano: saranno soprattutto i laici a rendersi presenti in questi compiti in adempimento della vocazione loro propria, senza mai cedere alla tentazione di ridurre le comunità cristiane ad agenzie sociali (NMI, 52).

11. L’inculturazione dell’annuncio cristiano
Nell’opera di evangelizzazione il Papa ci invita ad essere attenti alle diverse culture in cui messaggio cristiano deve essere calato, affinché i valori specifici che le animano non siano rinnegati ma purificati e portati alla loro pienezza. Ciò vale in mdo particolare per la cultura medica, per molto tempo alleata della Chiesa nella difesa della dignità dell’uomo.

Il cristianesimo del terzo millennio dovrà rispondere sempre meglio a questa esigenza di inculturazione. Restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all’annuncio evangelico e alla tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato (NMI, 40).
La carità si farà allora necessariamente servizio alla cultura… (NMI, 51),

Fino a qualche decennio fa, infatti, la morale dei medici e la morale cattolica erano raramente in contrasto e il medico cattolico non incontrava difficoltà a rendere disponibile per i suoi pazienti tutto ciò che la scienza medica aveva da offrire, senza per questo soffrire di conflitti di coscienza. E’ vero, ci sono sempre stati medici e levatrici che praticavano aborti, ma lo facevano al di fuori della morale comune riconosciuta dalla professione e di nascosto perché sarebbero stati biasimati. Quando io studiavo medicina, il testo di medicina legale distingueva solo quattro tipi di aborto: spontaneo, terapeutico (solo per salvare la vita della madre), eugenetico e criminale. Per gli ultimi due tipi il biasimo professionale era estremamente chiaro.

La situazione è cambiata profondamente negli ultimi decenni. La disponibilità di metodi di contraccezione farmacologica, il movimento femminista, l’introduzione dell’aborto in un elevato numero di legislazioni, le crescenti possibilità offerte dalla genetica di scoprire le malattie prima della nascita, lo sviluppo di tecniche di fertilizzazione in vitro, la conseguente produzione di embrioni allo scopo di curare la sterilità, il loro essere disponibili per la ricerca scientifica, la scoperta del potenziale delle cellule embrionali per lo sviluppo di tessuti utili per i trapianti nella cura delle malattie degenerative, l’ipotesi della clonazione totale o parziale già messa in atto nel regno animale, tutto questo ha radicalmente cambiato lo scenario.

La gravidanza e il parto non sono più visti come atti che sono, la maggior parte delle volte, fisiologici; spesso invece sono vissuti come una disgrazia e una malattia che il medico deve farsi carico di curare. Un figlio non è più visto come un dono, ma come un oggetto del desiderio, che viene messo al mondo solo se si vuole, quando si vuole, e che viene accettato solo se il dono è ben confezionato e non rovinato.

La medicina non ha più come suo scopo precipuo la difesa della vita, essa è più preoccupata della qualità della vita.

Le organizzazioni internazionali hanno rinunciato alla lotta affinchè i fondamentali diritti alla salute siano assicurati per tutte le popolazioni e gli strati sociali; si propccupano solamente di ridurre la richiesta di tali diritti, favorendo un calo della natalità in tutto il mondo.

E’ stato creato il termine ambiguo di “salute riproduttiva”, dietro il quale, assieme alla prevenzione e al controllo delle malattie ginecologiche, sono la contraccezione, l’aborto, la sterilizzazione, la denatalità ad essere pubblicizzate, offerte e imposte ai governi e agli operatori sanitari. All’inverso, noi ci preoccupiamo ancora troppo poco della mortalità materna, ancora elevatissima in alcuni paesi del mondo e, in alcuni strati sociali, anche nei paesi sviluppati.

Il medico cattolico, e particolarmente l’ostetrico ginecologo cattolico si trova naturalmente nel mezzo di queste tensioni e di questi cambiamenti 4.

. Dobbiamo manifestare il coraggio di porci ancora una volta le domande fondamentali sulla vita, la sofferenza, la morte. La visione pagana alle spalle del culto della salute teme la sofferenza, la vecchiaia, la morte e perfino la nascita. Di fronte a questa visione dobbiamo testimoniare la prospettiva Cristiana, considerando la nascita, la malattia, il dolore, la cura, la guarigione e la morte come opportunità di crescita. L’esperienza dei nostri limiti ci aiuta a scoprire l’infinito e la realtà di noi stessi, rompendo il sogno di onnipotenza ed invulnerabilità.

E’ necessario che ogni medico si senta personalmente impegnato a limitare la medicina dei desideri, a contrastare l’invasione tecnologica della medicina, a limitare l’invasività sociale della medicina. Invece, dovremmo sforzarci di sviluppare un’idea della medicina basata sulla prevenzione, sull’educazione alla salute, sulla correzione degli stili di vita inappropriati; in altre parole, un’idea della medicina fondata sulla responsabilità della persona.

In un tempo di risorse limitate dobbiamo risparmiare risorse grazie a una cultura della responsabilità nella medicina e usarle per creare dei sistemi sanitari validi nei paesi in via di sviluppo.

Questa responsabilità dovrebbe essere sentita specialmente da coloro che coprono ruoli di insegnamento e che hanno una grande responsabilità nell’educazione delle nuove generazioni di medici2.

12. La responsabilità socio-politica
La carità si farà allora necessariamente servizio … alla politica, all’economia, alla famiglia, perché dappertutto vengano rispettati i principi fondamentali dai quali dipende il destino dell’essere umano e il futuro della civiltà (NMI, 51).

Questo versante etico-sociale si propone come dimensione imprescindibile della testimonianza cristiana: si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell’Incarnazione e, in definitiva, con la stessa tensione escatologica del cristianesimo. Se quest’ultima ci rende consapevoli del carattere relativo della storia, ciò non vale a disimpegnarci in alcun modo dal dovere di costruirla. Rimane più che mai attuale, a tal proposito, l’insegnamento del Concilio Vaticano II: ” Il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo, lungi dall’incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente “. (NMI, 52)

Siamo chiamati ad umanizzare la medicina e i luoghi dove la pratichiamo, e ad assicurare che il progresso tecnologico non venga usato contro i diritti umani. Siamo chiamati a servire la sanità pubblica, promuovendo politiche sanitarie che rispettino la vita, la dignità e la natura della persona umana.

12.1. Ordini professionali
La professione medica si eleva al di sopra della legge e vive nella dimensione dell’etica, anche se non può allontanarsi dalla deontologia e dalle leggi che riguardano la pratica medica. Le leggi mediche senza un’etica appropriata sarebbero mera arbitrarietà, magari basata su interessi innominabili. All’inverso se l’etica non venisse tradotta in deontologia e leggi, essa sarebbe confinata ai principi generali, senza nessuna applicazione diretta.
Le regole e i regolamenti della legge medica dovrebbero essere abbastanza chiari e brevi da facilitare l’azione del medico. Il principio guida è sempre lo stesso: il medico è chiamato ad aiutare e a guarire, mai a nuocere e mai ad uccidere.
E’ per queste ragioni che il medico dovrà cooperare con l’applicazione delle leggi giuste, eccetto che per il dovere dell’obiezione di coscienza quando la legge civile non rispetta i diritti umani, specialmente il diritto alla vita. Per le stesse ragioni, il medico che rispetta la dignità della sua professione rifiuterà di divenire uno strumento di applicazioni violente od oppressive della medicina.

12.2. Comitati etici
Il medico dovrebbe essere competente in campo etico, anche senza essere uno specialista. Per la stessa ragione, dei comitati etici sono necessari in ogni centro sanitario e l’etica dovrebbe essere insegnata agli studenti di medicina, in un dialogo aperto con specialisti appartenenti alle diverse discipline pertinenti.

12.3. Politiche sanitarie
Stretti tra un’idea utilitaristica della salute, che riconosce solo alcuni diritti considerati socialmente utili, e le ideologie della salute, che propongono le pratiche della salute come una forma di culto di una sorta di nuova religione per la quale la morte sembra quasi evitabile e la salute e la forma fisica sono moderne divinità, non possiamo semplicemente ritirarci sulla linea di un ideale mercantile della medicina, dove il profitto (personale e istituzionale) è il metro di ciò che è giusto.
Di nuovo, dobbiamo porre il soggetto al centro della nostra attenzione e promuovere una rete di relazioni umane basate sulla solidarietà.
Infine, abbiamo un enorme compito socio-politico nel promuovere la legislazione in favore della vita. E dei diritti umani.
Non si tratta solo di resistere alle tentazioni dell’aborto, dello spreco di embrioni e dell’eutanasia. Dobbiamo sentirci impegnati a promuovere condizioni sociali dove la vita possa essere accettata e a combattere contro quelle situazioni dove la dignità della vita è umiliata. Infatti, il rispetto e la promozione della vita e di altri diritti umani è la base di ogni aggregazione sociale, degna di essere considerata umana. Lavorare a favore della vita e dei diritti dell’uomo è probabilmente il contributo più importante allo sviluppo della civiltà umana.
Abbiamo scelto di essere Medici per guarire, per alleviare il dolore, per avere compassione, per confortare, per accompagnare. Non possiamo essere testimoni passivi di una lenta e all’apparenza inevitabile trasformazione della medicina in una professione asservita alle tendenze culturali di oggi o ai compromessi della politica. Dovremmo piuttosto trovare il coraggio di opporci fermamente a tutto ciò, convinti come siamo che né i Governi, né i Parlamenti hanno alcun diritto di promulgare leggi che vanno contro i diritti umani fondamentali e contro i codici deontologici dei medici.
I diritti umani sono basati sulla singola radice della dignità della persona e la legittimità degli stati e dei governi si fonda su di essi. Ciò vale in modo particolare per il diritto alla vita.
Questo diritto fondamentale è garantito dal dovere morale; è il suo rispetto che dà senso e ligittimità alla umana coesistenza, alle leggi, e alle istituzioni civili.
La protezione del diritto di ogni individuo della specie umana, in particolare se debole e impotente, è ciò che segna la differenza tra lo stato e una lobby, corporazione o associazione criminale qualsiasi 4.

DUC IN ALTUM ! Gettiamo ancora le reti!
Il Cristo contemplato e amato ci invita ancora una volta a metterci in cammino: ” Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo ” (Mt 28,19). Il mandato missionario ci introduce nel terzo millennio invitandoci allo stesso entusiasmo che fu proprio dei cristiani della prima ora (NMI, 58).
Non è a un grigio quotidiano che noi torniamo, dopo l’entusiasmo giubilare
Gesù risorto, che si accompagna a noi sulle nostre strade, lasciandosi riconoscere, come dai discepoli di Emmaus ” nello spezzare il pane ” (Lc 24,35), ci trovi vigili e pronti per riconoscere il suo volto e correre dai nostri fratelli a portare il grande annuncio: ” Abbiamo visto il Signore! ” (Gv 20,25) (NMI, 59).