Assistenza sanitaria e opere di misericordia

Ermanno Pavesi, Segretario generale FIAMC

Sarajevo, settembre 2016

La storia dell’assistenza sanitaria è così strettamente legata alla storia del Cristianesimo che può essere distinta in tre fasi: prima del Cristianesimo, la fase cristiana, e, attualmente, una trasformazione dovuta all’allontanamento della società occidentale dal Cristianesimo

Concezioni antiche

Nella nostra area culturale sono note soprattutto le concezioni mediche dell’antica Grecia e del Vecchio Testamento. Nell’antica Grecia la malattia era spesso considerata come la conseguenza di un’infrazione delle leggi di natura. L’episodio biblico di Giobbe mostra come la mentalità corrente considerava le sofferenze come punizione per trasgressioni contro la legge di Dio. Non ostante le differenze, tutte e due le visioni consideravano la malattia come la necessaria conseguenza dell’infrazione di una legge, o di natura o dettata da Dio. La sofferenza sarebbe stata la conseguenza di una colpa individuale.

L’apporto del cristianesimo

È straordinario come il messaggio di alcuni passi dei Vangeli abbiano provocato un cambiamento radicale della concezione delle cause della malattia, della considerazione dell’infermo, dell’assistenza agli infermi e dell’etica sanitaria.

Si deve tener conto che il termine infermo è usato molto spesso come sinonimo di ammalato, in alcune lingue, però, può indicare – corrispondentemente all’etimologia latina di “infermo”, cioè non fermo, instabile – debolezza e, più in generale, diverse forme di fragilità umana.

Cause della malattia: l’episodio dell’uomo cieco dalla nascita, descritto nel Vangelo secondo Giovanni, mostra il superamento della vecchia concezione della malattia, cioè una malattia sarebbe la conseguenza di una colpa, una grave malattia di una grave colpa, e, cercando di individuarne la causa, si trattava di trovare il “colpevole”:

«E passando, vide un uomo cieco fin dalla nascita. E i suoi discepoli gli domandarono: “Maestro, chi ha peccato lui o i suoi genitori, per essere nato cieco?” Rispose Gesù: “Né lui, né i suoi genitori hanno peccato, ma è così, perché si manifestino le opere d’Iddio”» (Gv 9,1-3).

San Giovanni Paolo II ricorda: “Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa ed abbia carattere di punizione».

Atteggiamento nei confronti del sofferente: La parabola del buon Samaritano insegna che si devono aiutare tutte le persone che soffrono, non solo quelle alle quali siamo particolarmente legati.

Assistenza agli infermi: Nella parabola del buon Samaritano (Lc 10, 25-37) c’è una figura che rimane in ombra, l’oste. L’aiuto si deve concretizzare anche in un’assistenza pratica e professionale. Si deve ricordare che dalla radice latina di ospite e ospitare derivano diversi termini delle lingue moderne, come oste, osteria, ostello, hotel ma anche ospizio e ospedale. Vedere nell’ospitalità dell’oste una prefigurazione dell’ospedale non è una forzatura, se si tiene conto che in Francia alcuni ospedali sono ancora chiamati “Hotel Dieu”.

Ethos professionale: La figura del buon Samaritano presenta diversi aspetti. Da una parte può rappresentare il modello per chi assiste gli infermi, e in molti paesi i volontari della sanità sono chiamati Samaritani. Dall’altra vi sono immagini sacre che rappresentano il buon Samaritano come Gesù che si prende cura del malcapitato e lo affida all’oste. Una frase può caratterizzare l’ethos dei sanitari cristiani: «Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno». C’è l’invito a chi assiste gli infermi a fare tutto il possibile, anche più di quello pattuito all’inizio, perché l’impegno sarà retribuito successivamente. E il buon Samaritano annuncia il suo ritorno, quasi “una seconda venuta”.

Tutti quelli che lavorano nella sanità hanno un contratto con un’amministrazione sanitaria, con una mutua ecc., che prevede una certa retribuzione per determinate prestazioni. Per l’etica cristiana gli infermi da assistere sono affidati direttamente da Gesù, con l’invito a fare di più di quanto umanamente pattuito, per la particolare dignità del paziente e perché tutto quello che si fa in più avrà un altro tipo di retribuzione: «Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt, 25, 35-36).

Nascita della diaconia

Questi principi sono messi in pratica già nelle prime comunità cristiane e ben presto si rende necessario creare un servizio particolare, la diaconia, come scrive il papa emerito Benedetto XVI nell’Enciclica Deus caritas est:

«Gli Apostoli, ai quali erano affidati innanzitutto la “preghiera” (Eucaristia e Liturgia) e il “servizio della Parola”, si sentirono eccessivamente appesantiti dal “servizio delle mense”; decisero pertanto di riservare a sé il ministero principale e di creare per l’altro compito, pur necessario nella Chiesa, un consesso di sette persone. Anche questo gruppo però non doveva svolgere un servizio semplicemente tecnico di distribuzione: dovevano essere uomini “pieni di Spirito e di saggezza“ (cfr. At 6, 1-6). Ciò significa che il servizio sociale che dovevano effettuare era assolutamente concreto, ma al contempo era senz’altro anche un servizio spirituale; il loro perciò era un vero ufficio spirituale, che realizzava un compito essenziale della Chiesa, quello dell’amore ben ordinato del prossimo. Con la formazione di questo consesso dei Sette, la “diaconia” — il servizio dell’amore del prossimo esercitato comunitariamente e in modo ordinato — era ormai instaurata nella struttura fondamentale della Chiesa stessa».

Benedetto XVI descrive la diaconia come «servizio dell’amore del prossimo esercitato comunitariamente e in modo ordinato». La solidarietà umana non è una prerogativa del Cristianesimo, ma con il Cristianesimo le opere di misericordia corporale vengono esercitate in modo comunitario, ordinato e organizzato. E lo sviluppo di questa organizzazione è stata strettamente legata alla storia della Chiesa.

Nascita dell’ospedale

Con la crescita delle comunità cristiane anche l’assistenza diventa più complessa, ma solo «più tardi, — affermava il venerabile Pio XII (1939-1958) — quando la Chiesa poté svilupparsi e ordinarsi liberamente, sorsero anche i primi nosocomi». Dopo l’editto di Costantino del 313 d.C. è stato possibile organizzare l’assistenza sanitaria non solo come diaconia a livello di comunità locale, ma a costituire quella che si potrebbe chiamare una caritas diocesana sotto la responsabilità diretta del vescovo. San Basilio il Grande, vescovo di Cesarea in Cappadocia (329 o 330-379), oggi Kayseri nell’Anatolia orientale, ha fondato un complesso per l’assistenza e la cura, chiamato Basiliano o Basiliade, che «era quasi una seconda città, autosufficiente ed autonoma, e comprendeva tutti i gradi dell’assistenza ospedaliera: la prevenzione, la cura e l’assistenza sociale».  Proprio per la completezza dell’offerta di assistenza il Basiliano viene considerato il primo ospedale nella storia dell’umanità. L’ospedale può essere considerato un’invenzione del Cristianesimo.

Nei secoli successivi questi ospedali avevano spesso due tipologie: lo xenodochion, spesso posto fuori città sulle vie principali, per l’assistenza a stranieri, pellegrini, viandanti e commercianti, e la cosiddetta Domus dei, un luogo per infermi spesso inserito nel complesso della cattedrale, per così dire il vescovo accoglieva gli infermi sotto il proprio tetto. Gli infermi non venivano più esclusi dalla società, ma accolti nella casa di Dio.

Sviluppi dell’assistenza sanitaria

Non è possibile descrivere nel dettaglio la storia dei rapporti tra Cristianesimo e assistenza sanitaria, bastino alcuni cenni:

  • Il capitolo XXXVI della regola di san Benedetto (480 circa-547) sull’assistenza agli infermi è all’origine dello sviluppo della medicina monastica, che per secoli ha rappresentato la forma più differenziata di assistenza sanitaria;

  • Concili hanno preso importanti decisioni in campo sanitario, per esempio il Concilio V di Orleans (549), in Francia, prescriveva che ciascun vescovo provvedesse di cibo e di vesti i lebbrosi della propria diocesi con il denaro della propria chiesa;

  • Un monaco benedettino, Costantino Africano (1020 circa-1087), con le sue traduzioni in latino di testi di medicina arabi ha migliorato il livello scientifico della scuola di medicina di Salerno che può essere considerata il prototipo delle facoltà universitarie di medicina.

  • Nel Medio Evo, oltre agli ordini ospedalieri, che assistevano malati di ogni tipo, sono nati ordini religiosi per affrontare emergenze sanitarie particolari, come i Lazzaristi per i malati di peste e i canonici regolari di Sant’Antonio per le epidemie di ergotismo.

  • Nell’epoca della Controriforma c’è stato un fiorire di iniziative, grandi e piccole, con la fondazione di ospedali, ospizi, case di cura di ogni genere. Per non parlare dei grandi ordini religiosi fondati da san Giovanni di Dio (1495-1590), i Fatebenefratelli, e da san Camillo de Lellis (1550-1614), i Camilliani.

La chiesa cattolica: la più grande organizzazione sanitaria a livello mondiale

Se papa Francesco paragona talvolta la Chiesa a un ospedale da campo, si deve dire ricordare che attualmente la Chiesa cattolica rappresenta la più grande organizzazione sanitaria a livello mondiale con decine di migliaia di istituzioni, dai grandi ospedali ai piccoli ambulatori.  E questa assistenza è soprattutto a favore dei più bisognosi. Dati precisi riguardano le associazioni sanitarie cattoliche in India riunite nel CHAI Catholic Health Associations of India), che assistono ogni anno più di 20 milioni di persone, contano 1.000 suore-medico, 25.000 suore-infermiere, 10.000 suore con funzione di paramedico e circa 40.000 tra suore, sacerdoti, assistenti sociali. L’84% delle attività si svolgono dove l’assistenza sanitaria è carente. Queste associazioni gestiscono, tra l’altro, ospedali con 50.000 letti, 82 centri di cure terminali e palliative, 103 centri per disturbi mentali, 52 lebbrosari e 123 centri per l’HIV

L’epoca moderna e la crisi dei valori

I principi del cristianesimo, che per due millenni hanno ispirato l’assistenza sanitaria, non sono più indiscussi e assistiamo a una sorta d’involuzione. Il progressivo allontanamento dal Cristianesimo della società moderna ha avuto ripercussioni anche sull’assistenza sanitaria. Nell’enciclica Laudato si’ papa Francesco critica il paradigma tecnocratico, il relativismo e la cultura dello scarto. I progressi tecnici hanno influenzato la formazione e il lavoro delle professioni sanitarie mentre la dimensione personale e il rapporto diretto con il paziente passano in secondo piano, il relativismo ha compromesso l’etica, e la cultura dello scarto diventa l’inevitabile conseguenza, quando l’interesse individuale del più forte si può imporre sui diritti dei più deboli.

Le associazioni di sanitari cattolici cercano di contrastare queste tendenze sostenendo la necessità di completare una seria preparazione professionale con la formazione spirituale ed etica, e con un esercizio della professione ispirato alla misericordia e all’assistenza dei più bisognosi e dei più deboli

Professione medica e pratica delle virtù

Questo richiede anche la pratica delle virtù. Medici e infermieri beatificati, o in corso di beatificazione, hanno esercitato queste virtù in grado eroico, e si sono santificati con la loro attività professionale, come il “dottore dei poveri” san Giuseppe Moscati (1880-1927), canonizzato nel 1987. Si può ricordare anche un medico probabilmente meno noto, il servo di Dio Friedrich Joseph Haass (1780-1853), un medico tedesco che a Mosca era diventato ricco e famoso come medico della nobiltà e dell’alta borghesia, ma che curava gratuitamente malati poveri. Nominato nel 1828 membro della commissione di controllo delle carceri, si è dedicato progressivamente solo a questa attività, impegnandosi per il miglioramento delle condizioni delle prigioni e dei carcerati in cammino verso la Siberia, ha speso tutto il suo patrimonio per la costruzione di ospedali e ha vissuto fino alla morte in due camere di un ospizio che aveva fatto costruire per i senzatetto. Si devono ricordare anche le sei religiose, appartenenti alla Congregazione delle Suore delle Poverelle, morte di Ebola tra l’aprile e il maggio del 1995: dopo lo scoppio dell’epidemia, pur consapevoli dell’altissimo rischio di contagio con una infezione con esito allora inesorabilmente letale, hanno continuato a curare gli ammalati nell’ospedale di Kikwit, in Congo, rimanendo contagiate loro stesse.