FEAMC – Conversano, Bari (Italia) 18-19 ottobre 2013

EUROPA, ECUMENISMO, ETICA

Alfredo Anzani

FEAMC past vice president

1. Europa

“Domandarsi che cosa sarà l’Europa domani o che cosa sia oggi significa anzitutto domandarsi come l’Europa è diventata ciò che è.” (Hans-Georg Gadamer)

Esiste l’Europa?

Non dico come espressione geografica. E neanche come espressione politica in faticosa costruzione, imperfetta, incompleta, in ritardo e timidezza, anzi riluttanza. Dico come espressione “umana”, cioè come patria comune di popoli diversi, così a lungo nemici, e ora fratelli, ovvero in cammino verso questo sogno.

Dal 1945 al 1959 si è lavorato per un’Europa di pace con l’obiettivo primario di mettere fine alle guerre continue tra paesi vicini che avevano condotto alla seconda guerra mondiale. Negli anni Cinquanta la Comunità europea del carbone e dell’acciaio ha cominciato ad unire i paesi europei sul piano economico e politico al fine di garantire una pace duratura. I sei membri fondatori sono stati il Belgio, la Francia, la Germania, l’Italia, il Lussemburgo e i Paesi Bassi. Nel 1957 il trattato di Roma ha istituito la Comunità economica europea (CEE), il cosiddetto ‘Mercato comune’.

Il 1° gennaio 1973 aderiscono la Danimarca, l’Irlanda e il Regno Unito e il numero degli stati membri dell’unione europea sale a nove.

Nel 1979 il Parlamento europeo viene eletto per la prima volta a suffragio universale.

Nel 1981 la Grecia diventa il decimo Stato membro dell’UE, mentre il Portogallo e la Spagna aderiscono all’UE nel 1986. Sempre nel 1986 viene firmato l’Atto unico europeo che crea così il ‘Mercato unico’. Il 9 novembre 1989 viene abbattuto il muro di Berlino e, per la prima volta dopo 28 anni, si aprono le frontiere tra Germania Est e Germania Ovest che saranno presto riunificate in un solo paese.

Gli anni Novanta sono il decennio di due importanti trattati: il trattato di Maastricht sull’Unione europea (1993) e il trattato di Amsterdam (1999). I cittadini europei si preoccupano di come proteggere l’ambiente e di come i paesi europei possano collaborare in materia di difesa e sicurezza. Nel 1995 aderiscono all’UE tre nuovi Stati membri: Austria, Finlandia e Svezia. Una piccola località del Lussemburgo dà il nome agli accordi di ‘Schengen’ che, gradualmente, consentono ai cittadini di viaggiare liberamente senza controllo dei passaporti alle frontiere.

Nel 2002 l’euro è la nuova moneta per molti cittadini europei.

Oggi, 2013, sono 28 i Paesi a comporre il mosaico dell’Europa: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria.

I 28 Paesi si sono dotati di organi istituzionali che si chiamano “europei”: un parlamento (Strasburgo/Bruxelles), una Commissione, un Consiglio, una Corte di Giustizia (Lussemburgo), una Banca europea.

Esiste sicuramente un’Europa dei mercati, delle banche, della moneta comune e del libero scambio e circolazione; c’è persino una “cittadinanza europea”, seppure di carattere “debole”, e affiancata alle varie cittadinanze nazionali.

L’Europa dice di se stessa di essere una “Unione”. Ma è vero?

Dove si fonda l’identità che unisce (non “il progetto”, ma la ricognizione della identità che precede il progetto) ? Dove, dunque? Su quali basi?

La lezione della storia è quella delle guerre fratricide e fratricide è la parola giusta perché i soggetti coinvolti sono popoli fratelli.

Questa fraternità ha il suo sigillo nella evangelizzazione cristiana.

Si possono, così, evidenziare le “radici cristiane dell’Europa” come caratterizzanti una peculiare civiltà. Queste radici hanno fornito l’alimento più forte e più nutriente per la formazione e per lo sviluppo dell’idea d’Europa derivante dal pensiero cristiano. Senza il cristianesimo, oltre che al pensiero greco-romano, l’Europa non sarebbe pensabile.

Benedetto Croce, nel celebre articolo “Perché non possiamo non dirci cristiani” scrive: “Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. […] E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni, in quanto non furono particolari e limitate al modo delle loro precedenti antiche, ma investirono tutto l’uomo, l’anima stessa dell’uomo, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primato perché l’impulso originario fu e perdura il suo. […] La ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò al centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all’umanità. Gli uomini, i geni, gli eroi che furono innanzi al Cristianesimo compirono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensieri e di esperienze; ma in tutti essi si desidera quel proprio accento che noi accomuna e affratella, e che il Cristianesimo ha dato esso solo alla vita umana”.

Federico Chabod così commenta la celebre espressione di Benedetto Croce: “Non possiamo non esserlo [cristiani], anche se non seguiamo più le pratiche di culto, perché il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c’è fra noi e gli Antichi, fra il nostro modo di sentire la vita e quello di un contemporaneo di Pericle e di Augusto è proprio dovuta a questo grande fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano. Anche i cosiddetti ‘liberi pensatori’, anche gli ‘anticlericali’ non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo”. “Nel formarsi del concetto d’Europa e del sentimento europeo, i fattori culturali e morali hanno avuto, nel periodo decisivo di quella formazione, preminenza assoluta, anzi esclusiva”.

Le grandi cattedrali del medioevo, la storia del monachesimo, la tradizione di fede e di cultura, l’arte, tutto questo rivela, inequivocabilmente, l’impronta cristiana.

Thomas Eliot rimarca autorevolmente che “La forza dominante nella creazione d’una cultura comune tra popoli, ciascuno dei quali abbia una cultura distinta, è la religione. […] Nella cristianità le arti si sono sviluppate. In essa le leggi dell’Europa – fino ai tempi recenti – hanno avuto le loro radici. E’ contro uno sfondo cristiano che tutto il nostro pensiero acquista significato. Un singolo europeo può non credere che la Fede cristiana sia vera, e tuttavia ciò che egli dice, e fa, scaturirà dalla parte di cultura cristiana di cui è erede, e da quella trarrà significato. Solamente una cultura cristiana avrebbe potuto produrre un Voltaire e un Nietszche. Non credo che la cultura dell’Europa potrebbe sopravvivere alla sparizione completa della Fede cristiana. E ne sono convinto non solamente come cristiano, ma come studioso di biologia sociale. Se il Cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura.”

Qual è l’apporto più grande che il Cristianesimo ci ha portato?

Ritengo sia l’idea di persona. Non a caso nella Carta dei diritti – all’articolo 1° – c’è proprio il richiamo alla dignità di ogni singola persona umana. Cosa vuol dire persona? L’idea di persona è una idea filosofica e non c’è bisogno della Rivelazione per giustificarla, però storicamente nasce in ambiente cristiano, più precisamente in ambiente teologico.

Scrive Giovanni Reale che il fondamento spirituale dell’Europa è uno dei concetti chiave del Cristianesimo, ossia il concetto di “uomo” come “persona” con la connessa rivalutazione radicale del corpo umano. Quello di persona è un concetto che i Greci non avevano raggiunto e quanto al corpo ne avevano un concetto negativo. Il messaggio cristiano capovolge in maniera radicale la visione greca.

Sǿren Kierkegaard coglie in profondità il messaggio cristiano. Così annota: “[Cristo] non trovò mai un tetto tanto misero che gli impedisse di entrare con gioia, mai un uomo tanto insignificante da non voler collocare la sua dimora nel suo cuore, così come non ha mai rinnegato la sua autorità divina.”

Perché questo? In Genesi Dio afferma: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” e nel Salmo 8 si dice: Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché tu te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare”.

Con la venuta del Figlio di Dio che si fa uomo, prendendo un corpo come quello degli uomini, viene data all’uomo stesso come persona una sacralità in senso totale. Lo sottolinea straordinariamente ed efficacemente S. Agostino: “ Rallegriamoci, dunque, e rendiamo grazie a Dio: non soltanto siamo diventati cristiani, ma siamo diventati Cristo stesso. Capite, fratelli? Vi rendete conto della grazia che Dio ha profuso su di noi? Stupite, gioite: siamo diventati Cristo! Se Cristo è il capo e noi le membra, l’uomo totale è lui e noi.” E ancora, in modo sublime: “Dio si è fatto uomo; che cosa diventerà l’uomo, se per lui Dio sì è fatto uomo?”

Il Cristianesimo è capace di rendere il lontano vicino, l’estraneo fratello, di creare una comunità che va al di là del vincolo della carne. Approfondisce il vincolo della carne, ma crea una comunità che va al di là di questo vincolo. Questo dato culturale definisce la cultura europea. L‘Europa non è un continente nettamente afferrabile in termini geografici, ma è invece un concetto culturale e storico.

Ciò che chiamiamo oggi Europa deve ringraziare la luce del Vangelo se è diventata Europa. Perché l’Europa non è un’unità geografica, come l’Africa o l’America; sul piano geografico, l’Europa è un’appendice o una penisola dell’Asia. L’Europa è, ancor meno, un’unità etnica. L’Europa non è mai stato un continente unitario ma sempre pluralista.  Solo il cristianesimo ha riunito i popoli e le tribù, molto differenti tra loro, stanziati nel territorio dell’attuale Europa, in una sola fede, creando uno spazio culturale vasto ma in sé fortemente poliedrico. Furono le vie di pellegrinaggio, che si svilupparono in lungo e in largo attraverso l’Europa conducendo a Roma e a Santiago de Compostela, i grandi ordini monastici e le università a unire l’Europa, con tutte le sue differenze. È stato il cristianesimo ad unificare l’Europa non come un’entità naturale ma come entità storica: comunione di cultura, di valori e di fede.

Se non vogliamo ridurre l’Europa a pura sfida politica o economica, se le si vuole restituire quel senso di libertà che da sempre le appartiene, occorre avere il coraggio di gettare lo sguardo sull’origine della sua storia nella consapevolezza che la costruzione di una “casa comune” dipende dalla possibilità di rinnovare l’uomo europeo, dalla capacità di far vivere in forma nuova le sue radici culturali e spirituali.

2) Ecumenismo

Queste radici cristiane hanno conosciuto, nel corso della storia, vicende di dolorosa lacerazione.

Non possiamo dimenticare la Riforma protestante che ha dato origine a quel movimento religioso, politico e culturale che produsse nel 16° secolo la frattura della cristianità in diverse comunità, gruppi o sette. La Riforma scaturì principalmente da motivazioni religiose dettate dalla riscoperta del Vangelo come annuncio della libera grazia di Dio, donata al peccatore indipendentemente dai suoi meriti, e dalla critica della degenerazione morale e spirituale della Chiesa. Data convenzionale di inizio della Riforma protestante fu il 31 ottobre 1517, giorno in cui Martin Lutero affisse alla porta della chiesa del castello di Wittenberg le sue 95 tesi contro lo scandalo delle indulgenze, affrontando i problemi della penitenza, del peccato e della grazia. La dottrina luterana divenne arma di lotta politica dei principi tedeschi che videro in essa la possibilità di sottrarsi all’autorità imperiale e di incamerare i beni ecclesiastici. Dopo le diete di Spira (1529) e di Augusta (1530), essi si unirono nella Lega di Smalcalda (1530) e lottarono contro l’imperatore Carlo V fino alla Pace di Augusta (1555), con la quale si sancì la divisione tra cattolici e protestanti in base al principio cuius regio, eius religio che imponeva ai sudditi di seguire la religione del loro principe, cattolico o luterano che fosse.

Nel 1531 il centro della Riforma divenne Ginevra, dove Calvino attuò una rigida organizzazione teocratica e codificò le tesi riformate, accentuando il tema della predestinazione. La dottrina calvinista (o riformata) si diffuse in Europa e nelle colonie inglesi in America. In Inghilterra, a seguito della politica antipapale di Enrico VIII (Atto di supremazia, 1534), si affermò la Chiesa anglicana, che conservò l’episcopato e forme di culto tradizionali, pur facendo propria la teologia riformata. Nell’ambito della crisi religiosa del Cinquecento si diffusero anche sette e movimenti di riforma radicale, duramente contrastati sia dai cattolici sia dai riformatori.

Non possiamo, poi, dimenticare gli scismi. Fra questi ricordiamo il primo grande scisma all’interno del Cristianesimo, avvenuto nel 1054. La divisione tra i Cristiani d’Occidente e i Cristiani di Oriente si chiama Scisma d’Oriente, perché è avvenuta a Costantinopoli (in Oriente) nel 1054.

Ancora, fonte di lacerazioni, di dolori e di sofferenze sono state le guerre di religione. Conflitti a sfondo religioso, tra protestanti e cattolici, lacerarono l’Europa tra il 16° e il 17° secolo. Scoppiarono in Germania, in Francia, nei Paesi Bassi e nei paesi dell’Europa nordorientale. La Francia, in particolare, fu dilaniata per anni da lotte religiose e l’episodio più clamoroso fu il massacro della notte di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572), quando a Parigi vennero uccisi tremila ugonotti (i calvinisti francesi). Le guerre si conclusero con l’ascesa al trono di Enrico IV e la concessione dell’Editto di Nantes che riconobbe parziali libertà di culto agli ugonotti. Nel corso del 17° secolo il conflitto più duraturo fu la guerra dei Trent’anni (1618-48), che coinvolse paesi protestanti e paesi cattolici e fu provocata dal tentativo degli Asburgo di instaurare nel cuore dell’Europa uno Stato cattolico. Con la Pace di Vestfalia (1648) si chiuse il triste periodo delle guerre di religione in Germania: fu sancita l’esistenza di tre confessioni religiose, quella cattolica, quella luterana e quella calvinista, e riconosciuto il diritto dei sudditi di professare una religione diversa da quella dei loro principi.

A fronte di tutto questo male, di queste divisioni – espressioni dell’azione del “principe di questo mondo” che per sua natura costituzionale vuole sempre e comunque “dividere”- nasce l’ecumenismo.

L’origine etimologica della parola ecumenismo è, dal greco, oikoumene: terra abitata. Il termine si riferisce al movimento di ri-unione delle Chiese Cristiane che mira a superarne le differenze, recuperando i valori comuni di fede. L’ecumenismo tende a rappresentare in forma reale la Chiesa unica ed universale nella quale tutti i suoi membri sono uniti dall’amore di Cristo.

Il Movimento Ecumenico, sorto in ambiente protestante e in un contesto missionario per la necessità di presentare un fronte unito nei paesi pagani, ebbe inizio con il Congresso Missionario di Edimburgo (Scozia) nel 1910.

La Chiesa Cattolica considera la separazione dagli ortodossi e dai protestanti come una ferita profonda inflitta alla Chiesa di Cristo. A oltre cento anni dalla nascita del Movimento occorre riprendere questo motivo originario: la passione per superare la divisione delle Chiese è la condizione essenziale per l’evangelizzazione; d’altra parte, il compito dell’annuncio del Vangelo richiede che non si smetta di ricercare ogni giorno l’unità della Chiesa secondo il desiderio di Cristo.

Il significato religioso dell’ecumenismo nell’unità della fede cristiana trova la sua origine nella preghiera di Gesù : “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me;  perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv. 17, 20)

Il dialogo è stato, ed è, lo strumento indispensabile per cercare il riavvicinamento, la ricerca dell’unità.

Sinteticamente ricordo i momenti più salienti:

i lavori del Concilio Vaticano II;

l’incontro, avvenuto il 27 ottobre 1986, dei leader religiosi del mondo incontratisi ad Assisi con la speranza: “Sia Pace!” Erano intervenuti 62 rappresentanti delle varie religioni;

l’enciclica Ut unum sint di Giovanni Paolo II del 25 maggio 1995;

le periodiche “Assemblee Ecumeniche Europee”.

C’è stato un cammino progressivo dell’ecumenismo in Europa. Soffermandoci ai nostri giorni, ricordo che il 10 maggio 2013 papa Francesco ha ricevuto il capo della Chiesa ortodossa copta d’Egitto Tawadros II e il 5 settembre 2013, quando si è incontrato con Marthoma Paulose II, Metropolita della Chiesa ortodossa sira malankarese, così si è espresso: “Penso che nel cammino ecumenico sia importante guardare con fiducia ai passi compiuti superando pregiudizi e chiusure, che fanno parte di quella ‘cultura dello scontro’, che è fonte di divisione e lasciando spazio alla ‘cultura dell’incontro’, che ci educa alla comprensione reciproca e a operare per l’unità. Da soli, però, questo è impossibile; le nostre debolezze e povertà rallentano il cammino. Per questo è importante intensificare la preghiera, perché solo lo Spirito santo con la sua grazia, con la sua luce, con il suo calore può sciogliere le nostre freddezze e guidare i nostri passi verso una fraternità sempre maggiore”.

La ricaduta culturale e operativa del cammino ecumenico è quella di osservare con uno sguardo di fede, di fede comune, la condizione umana dell’Europa, degli uomini, dei poveri in primo luogo.

Dal 1945 in poi il pensiero ecumenico ha sempre avuto un ruolo decisivo in Europa.

Il card. Kasper, già presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, nel maggio del 2011 così si è espresso con incisiva chiarezza e argomentazione:

“Cattolici e protestanti si strinsero gli uni agli altri; non c’erano più partiti confessionali ma solo partiti cristiano-democratici. Dopo la caduta del Muro di Berlino, le relazioni con l’Europa Orientale e quindi quelli con le Chiese ortodosse si aprirono in modo rinnovato. Se l’integrazione tra Europa dell’Est e dell’Ovest dev’essere qualcosa di più del ripristino di una zona economica comune, allora l’integrazione culturale non è possibile senza l’ecumenismo con le Chiese orientali, che, nei secoli, hanno dato l’impronta alla cultura dei popoli dell’Europa dell’Est. Le Chiese che, con le loro divisioni, hanno diviso anche l’Europa, possono oggi, sul cammino dell’avvicinamento ecumenico, diventare fermento di unità. L’ecumenismo in sé non ha uno scopo politico, ma religioso-ecclesiastico; però, indirettamente, specie in Europa, ha effetti politici di rilievo”.

Kasper è convinto che l’ecumenismo giovi all’Europa; ma anche l’Europa giovi all’ecumenismo.

“In passato, nelle divisioni furono quasi sempre fattori politici ad avere un ruolo decisivo. Fu così nel caso della separazione tra Est ed Ovest; di nuovo, così avvenne per la Riforma del XVI secolo. Oggi, questa catena di cause si è rovesciata. La divisione tra Chiesa Occidentale e Orientale fu ed è dovuta, fino ai nostri giorni, anche a uno straniamento culturale. L’unità politica dell’Europa dell’Est e dell’Ovest porta a un riavvicinamento culturale che, almeno a lungo termine, servirà anche all’avvicinamento ecumenico. La situazione odierna è diversa rispetto a quella vissuta dai padri fondatori, che erano politici cristiani convinti e consapevoli. Sul fondamento dell’ordine dei valori cristiani l’Europa, per decenni, ebbe una storia di successi senza precedenti. Mai, prima, c’era stato un periodo di pace così lungo, in Europa. Oggi, non c’è più entusiasmo verso l’ Europa. Essa si trova dentro una crisi profonda, di portata molto più ampia di una crisi della moneta comune europea, l’euro. Ci sono molti motivi, per questo. L’Europa è caduta nelle mani di burocrati che esprimono una furia normativa senza pari: vengono regolati, in modo centralistico, dettagli che si possono regolare meglio sul posto, secondo le tradizioni locali. A ciò si aggiunge che l’Europa ha portato uno slancio economico e un benessere entrati nel campo visivo. Da ciò sono nate avidità, rinfocolate da pensiero nazionalistico miope. I cristiani dovrebbero essere i primi a guardare oltre il bordo del piatto della propria nazione. Se non lo fanno, non si possono poi chiamare nemmeno più cattolici. L’Europa è sul punto di staccarsi dalle proprie radici. Ma, come una pianta tagliata via dalle proprie radici, muore. Così, nemmeno l’Europa può restare quella che abbiamo conosciuto finora, se non si ricorda delle proprie radici cristiane e non le rafforza nuovamente. Se l’anima dell’Europa s’indebolisce, alla lunga nemmeno il corpo, cioè la cultura, l’economia, la politica eccetera, può restare forte. Senza uno spirito comune, senza idee, ideali e valori comuni, le forze centrifughe avranno il sopravvento e porteranno alla decomposizione. Sotto il profilo della storia dell’umanità, non si è mai dato il caso di una cultura che non avesse un fondamento religioso. L’Europa ha intrapreso un cammino peculiare, in campo culturale e religioso, che non ha ancora superato la prova della Storia”.

Questa crisi dell’Europa è sfida comune di tutte le Chiese, sottolinea il card. Kasper.

“Qui tutte le Chiese sono chiamate alla cooperazione ecumenica. La crisi è effettivamente cominciata. Già da molto tempo ci sono sforzi e progetti comuni col patriarcato ecumenico di Costantinopoli; da alcuni anni, anche col patriarcato russo ortodosso di Mosca. Tra la il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) e la Conferenza delle Chiese Europee (KEK) si è parimenti sviluppata una buona cooperazione. Onestamente, devo purtroppo aggiungere che la cooperazione con alcune Chiese evangeliche recentemente si è fatta più difficile. Di recente, rappresentano in parte, in questioni etiche (matrimonio e famiglia, aborto, relazioni tra persone dello stesso sesso, questioni bioetiche etc.) posizioni diverse dalle nostre e da quelle delle Chiese ortodosse. Questa è una situazione nuova, perché, negli ultimi 500 anni, abbiamo avuto dissensi in materia dogmatica, ma mai in etica. Così il dialogo ecumenico spazia, nel frattempo, dall’ambito strettamente teologico ai problemi etici ed alla cooperazione pratica sui valori fondamentali cristiani che sono alla basi della cultura Europea. L’Europa necessita di questa cooperazione delle Chiese per non perdere il fondamento dei suoi valori e per mantenere la sua anima. L’Europa necessita dell’ecumenismo per rimanere Europa”.

Ai contenuti di questa riflessione il card. Kasper ricorda che si aggiungono emigrazione e immigrazione, fughe, persecuzioni e allontanamenti forzati, a causa dei quali, oggi, appartenenti ad altre religioni vivono in mezzo a noi.

“Emigrazione e immigrazione sono tra i “segni dei tempi” e interessano molti milioni di persone in tutto il mondo. Così, in mezzo all’Europa è sorto un pluralismo religioso che è una novità per l’Europa. In molti Paesi, vivono tra noi  rappresentanti di religioni non cristiane, specialmente molti musulmani. In tutte le maggiori città europee, oggi non si trovano più solo chiese, ma anche moschee. Questo nuovo pluralismo ha, da una parte, portato a un relativismo molto diffuso, rafforzato dall’influsso tanto dei mass-media quanto del turismo di massa. Movimenti migratori e situazioni nuove ci sono sempre stati, nella storia europea. L’Europa non è un’entità fissa, ma è il risultato di un incontro storico di culture molto differenti: ebraica, ellenistico-romana, germanica, slava, nordica. L’Europa è un processo in cui i suoi valori fondanti  si sono rimescolati e ricomposti di continuo. Oggi, anche nell’incontro con altre culture e religioni, è in fieri un nuova ridefinizione dell’identità europea. Affinché tale ridefinizione dell’identità non sfoci in una perdita d’identità, l’Europa necessita di una riscoperta e di un rafforzamento delle sue radici cristiane. L’Europa necessita di una nuova evangelizzazione”.

E Kasper così conclude:

“Il Concilio Vaticano II ha raccomandato una cooperazione nella missione. Ciò vale, per quanto possibile, anche per la nuova evangelizzazione. Oggi, sarebbe già molto se una nuova evangelizzazione non fosse intesa come un modo di affermarsi dei cattolici rispetto ai protestanti o degli ortodossi rispetto ai cattolici eccetera, ma fosse inteso come modo di affermarsi dei fondamenti cristiani comuni della fede. L’epistola agli Ebrei, nel Nuovo Testamento, parla in una situazione simile: scemato l’entusiasmo delle origini, molti cristiani sono diventati tiepidi e stanchi ed è necessario rinsaldare nuovamente i fondamenti iniziali della fede cristiana. In tal modo, serviremmo nella maniera migliore all’Europa, affinché non perda la sua anima, ma anzi la riscopra”.

Già nell’aprile del 1987 Giovanni Paolo II, ai membri della Conferenza Episcopale Tedesca a Colonia, così ammoniva: “Nel continuo processo di unificazione fra i popoli di questo continente, la Chiesa deve impegnarsi decisamente per giungere ad un accordo costruttivo sui valori morali, che indirizzi l’ulteriore sviluppo della società. Si tratta di promuovere il senso dei diritti fondamentali dell’uomo, lo spirito della riconciliazione e della collaborazione, la ricerca di un’autentica giustizia e il consenso sul destino trascendente dell’uomo, che dia il significato ultimo alla vita e alla morte.”


3. Etica

Per quanto la fede in Cristo sia cosa diversa da una concezione etica (la Fede è diversa persino da una religione), non c’è dubbio che una visione dei problemi dell’uomo e del mondo, (e una percezione dei valori e disvalori nel campo del comune sentire, o del diverso opinare; nonché nel campo della condotta concreta umana) improntata alla coerenza con la fede, non è indifferente, o equivalente. Non dico solo in rapporto al concetto di “sacro”, dico in rapporto ad una razionalità imbevuta di “cultura” immersa nelle radici cristiane.

In sintesi: la matrice di tutti i diritti umani è la dignità della persona che funge da baricentro ad ogni questione etica.

Il primo capitolo della “Carta di Nizza” così recita: “ La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. E’ dunque una bussola per valutare le derive culturali che riguardano la vita umana e la morte umana.

Tra gli innumerevoli problemi, ricordo:

a) La dignità della vita di “everyone” e i problemi della fecondazione in vitro:

sovrapproduzione, vita eccedentaria, destino di futura distruzione;

sperimentazione distruttiva ;

i tentativi di falsificare la scienza negando qualità di “persona” al concepito , mentre la scienza – al di là delle puntualizzazioni lessicali – dice che è ab initio un essere della sfera umana;

la difesa della vita come difesa di civiltà.

b) La dignità del malato, la dignità del morente: la dignità di una persona, in qualunque fase della sua vita, deriva dal suo valore intrinseco di persona umana e non dalla situazione in cui si trova. Morire con dignità significa per la persona malata vedersi riconosciuto il diritto ad avere un’assistenza rispettosa del suo essere persona e rispondente a tutti i suoi bisogni, quelli corporali biofisici, quelli psicologici, quelli spirituali. Questa affermazione si basa su alcuni principi fondamentali: il paziente nella fase ultima della sua malattia è e rimane persona che deve essere aiutata ad affrontare il momento drammatico della propria esistenza. La vita integralmente conserva il proprio valore intrinseco nonostante il deterioramento delle condizioni fisiche.

Dinnanzi alla tendenza di perdere la visione globale del malato, il medico nel momento in cui avvicina il paziente non lo identificherà tout-court con un semplice caso clinico, con una cartella medica, con il numero del letto. Cercherà, per quanto possibile, di avere con il malato un rapporto personale, cioè degno della persona. Aiuterà con pazienza e semplicità il paziente a comprendere il suo reale stato di salute, lo renderà partecipa del piano di cura presentandogli le varie alternative; lo metterà in grado di esprimere un reale consenso informato.

Davanti ad una cultura che non difende la vita umana, il medico dirà con coraggio il suo sì alla vita, consapevole di esserne custode e servitore (come sta scritto nell’Evangelium Vitae).

Riconoscerà la vita sin dal suo sorgere nel grembo materno e la tutelerà sino al suo naturale spegnersi. Saprà discernere fra l’accanimento e l’abbandono terapeutico e allevierà le sofferenze ultime del malato di cui si prende cura, accompagnandolo nel tratto finale della vita.

Di fronte ad una medicina sempre più impegnata in una guerra implacabile e costosissima contro ogni malattia, è fondamentale non dimenticare mai la necessità di garantire, sempre, una adeguata assistenza della persona e della compassione di fronte alla morte.

c) L’etica della famiglia: è un campo delicatissimo quello dove per “non discriminare” si sovverte il significato ontologico dell’unione fra l’uomo e la donna e si propone il coniugio omosessuale. Non c’entra l’omofobia, nessuno va discriminato, ma neanche la realtà può essere falsificata. Su questi punti, che segnano confini solidi, bisogna continuare pazientemente a spiegarsi, in modo mite ma fermo e fedele.

Scrive con forza il card. Kasper: “Dalla fine degli anni ’60 e ’70, in Europa c’è una nuova ondata di secolarizzazione e un’emancipazione dall’ordine di valori cristiani. Ciò si dimostra, non per ultimo, nell’ambito del matrimonio e della famiglia, cellula fondamentale tanto della società quanto della Chiesa. Oggi, nuove definizioni di matrimonio, come comunione a vita di un uomo ed una donna su cui si basa la famiglia, stanno per sostituire l’eredità cristiana e l’ordine originario del creato. La prassi e la legislazione che si riferiscono all’aborto e alle nuove questioni bioetiche mostrano che la protezione della dignità di ogni vita umana non è più da molto tempo una cosa scontata”. “L’idea di tolleranza, che è fondata sulla dignità di ogni essere umano e che è stata considerata la grande idea dell’illuminismo moderno, oggi si è ribaltata nel suo contrario. Diventa intolleranza verso le convinzioni cristiane manifestate in pubblico”.

Potremmo ora chiederci, si domanda il card. Dionigi Tettamanzi: “Al di là delle differenze culturali e religiose, delle sensibilità morali e degli ordinamenti giuridici presenti in ciascun paese d’Europa, è possibile trovare un minimo comune denominatore dell’etica e del diritto a livello comunitario? Per arrivare a rispondere di sì a questa domanda dobbiamo essere convinti che non esistono “stranieri morali”. Di fronte alla vita nessuno è straniero: siamo tutti concittadini e corresponsabili l’uno della vita dell’altro. Come leggiamo nella Genesi, Dio chiede conto a Caino della vita di Abele: «Dov’è tuo fratello?» (Gn 4,9). E a Noè dopo il diluvio Dio ribadisce: «Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello» (Gn 9,5). Così si comprende bene quale sia l’autentica valenza di un “accordo” o di una convenzione” in bioetica. Non si tratta di raggiungere un equilibrio fragile o precario tra interessi, diritti, doveri, aspettative o rivendicazioni, ricorrendo eventualmente al computo delle maggioranze e delle minoranze attraverso un sondaggio o una votazione. Invece, è in gioco l’affermazione forte di una responsabilità comune verso ciò che ci è comune. E questo è possibile nel riconoscimento che quello che accomuna gli uomini – ossia l’essere persona, sempre – è più grande e profondo di quello che li diversifica”.

4. Conclusioni

Le affido alle parole pronunciate il 13 maggio 2004 dall’allora card. Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, divenuto poi Papa Benedetto XVI

“Come devono andare avanti le cose? Nei violenti sconvolgimenti del nostro tempo c’è un’identità dell’Europa, che abbia un futuro e per la quale possiamo impegnarci con tutto noi stessi? […] Vorrei soltanto brevemente indicare gli elementi morali fondanti, che a mio avviso non dovrebbero mancare.

Un primo elemento è l’ “incondizionatezza” con cui la dignità umana e i diritti umani devono essere presentati come valori che precedono qualsiasi giurisdizione statale. Questi diritti fondamentali non vengono creati dal legislatore, né conferiti ai cittadini, ma piuttosto esistono per diritto proprio, sono da sempre da rispettare da parte del legislatore, sono a lui previamente dati come valori di ordine superiore. Questa validità della dignità umana previa ad ogni agire politico e ad ogni decisione politica rinvia ultimamente al Creatore: solamente Egli può stabilire valori che si fondano sull’essenza dell’uomo e che sono intangibili.

[…] Ora oggi quasi nessuno negherà direttamente la precedenza della dignità umana e dei diritti umani fondamentali rispetto ad ogni decisione politica; sono ancora troppo recenti gli orrori del nazismo e della sua teoria razzista. Ma nell’ambito concreto del cosiddetto progresso della medicina ci sono minacce molto reali per questi valori: sia che noi pensiamo alla clonazione, sia che pensiamo alla conservazione dei feti umani a scopo di ricerca e di donazione degli organi, sia che pensiamo a tutto quanto l’ambito della manipolazione genetica – la lenta consunzione della dignità umana che qui ci minaccia non può venir misconosciuta da nessuno. A ciò si aggiungono in maniera crescente i traffici di persone umane, le nuove forme di schiavitù, l’affare dei traffici di organi umani a scopo di trapianti.

[…]la fissazione per iscritto del valore e della dignità dell’uomo, di libertà, eguaglianza e solidarietà con le affermazioni di fondo della democrazia e dello stato di diritto, implica un’immagine dell’uomo, un’opzione morale e un’idea di diritto niente affatto ovvie, sono di fatto fondamentali fattori di identità dell’Europa, che dovrebbero venir garantiti anche nelle loro conseguenze concrete e che certamente possono venir difesi solamente se si forma sempre nuovamente una corrispondente coscienza morale.

Un secondo punto in cui appare l’identità europea è il matrimonio e la famiglia.

Il matrimonio monogamico, come struttura fondamentale della relazione tra uomo e donna e al tempo stesso come cellula nella formazione della comunità statale, è stato forgiato a partire dalla fede biblica. Esso ha dato all’Europa, a quella occidentale come a quella orientale, il suo volto particolare e la sua particolare umanità, anche e proprio perché la forma di fedeltà e di rinuncia qui delineata dovette sempre nuovamente venir conquistata, con molte fatiche e sofferenze. L’Europa non sarebbe più Europa, se questa cellula fondamentale del suo edificio sociale scomparisse o venisse essenzialmente cambiata. La Carta dei diritti fondamentali parla di diritto al matrimonio, ma non esprime nessuna specifica protezione giuridica e morale per esso e nemmeno lo definisce più precisamente. E tutti sappiamo quanto il matrimonio e la famiglia siano minacciati, da una parte mediante lo svuotamento della loro indissolubilità ad opera di forme sempre più facili di divorzio, dall’altra attraverso un nuovo comportamento che si va diffondendo sempre di più, la convivenza di uomo e donna senza la forma giuridica del matrimonio. In vistoso contrasto con tutto ciò vi è la richiesta di comunione di vita di omosessuali, che ora paradossalmente richiedono una forma giuridica, la quale più o meno deve venir equiparata al matrimonio. Con questa tendenza si esce fuori dal complesso della storia morale dell’umanità, che nonostante ogni diversità di forme giuridiche del matrimonio sapeva tuttavia sempre che questo, secondo la sua essenza, è la particolare comunione di uomo e donna, che si apre ai figli e così alla famiglia. Qui non si tratta di discriminazione, bensì della questione di cos’è la persona umana in quanto uomo e donna e di come l’essere assieme di uomo e donna può ricevere una forma giuridica. Se da una parte il loro stare assieme si distacca sempre più da forme giuridiche, se dall’altra l’unione omosessuale viene vista sempre più come dello stesso rango del matrimonio, siamo allora davanti ad una dissoluzione dell’immagine dell’uomo, le cui conseguenze possono solo essere estremamente gravi.

Il mio ultimo punto è la questione religiosa. Non vorrei entrare qui nelle discussioni complesse degli ultimi anni, ma mettere in rilievo solo un aspetto fondamentale per tutte le culture: il rispetto nei confronti di ciò che per l’altro è sacro, e particolarmente il rispetto per il sacro nel senso più alto, per Dio, cosa che è lecito supporre di trovare anche in colui che non è disposto a credere in Dio. Laddove questo rispetto viene infranto, in una società qualcosa di essenziale va perduto.

Nella nostra società attuale grazie a Dio viene multato chi disonora la fede di Israele, la sua immagine di Dio, le sue grandi figure. Viene multato anche chiunque vilipendia il Corano e le convinzioni di fondo dell’Islam. Laddove invece si tratta di Cristo e di ciò che è sacro per i cristiani, ecco che allora la libertà di opinione appare come il bene supremo, limitare il quale sarebbe un minacciare o addirittura distruggere la tolleranza e la libertà in generale.

La libertà di opinione trova però il suo limite in questo, che essa non può distruggere l’onore e la dignità dell’altro; essa non è libertà di mentire o di distruggere i diritti umani. C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro.

L’Europa, per sopravvivere, ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se essa vuole davvero sopravvivere. La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza costanti in comune, senza punti di orientamento a partire dai valori propri. Essa sicuramente non può sussistere senza rispetto di ciò che è sacro. Di essa fa parte l’andare incontro con rispetto agli elementi sacri dell’altro, ma questo lo possiamo fare solamente se il sacro, Dio, non è estraneo a noi stessi.

Certo, noi possiamo e dobbiamo imparare da ciò che è sacro per gli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli altri è nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso – del Dio che ha compassione dei poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani, dello straniero; del Dio che è talmente umano che egli stesso è diventato un uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà al dolore dignità e speranza.

Se non facciamo questo, non solo rinneghiamo l’identità dell’Europa, bensì veniamo meno anche ad un servizio agli altri che essi hanno diritto di avere. Per le culture del mondo la profanità assoluta che si è andata formando in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo. Esse sono convinte che un mondo senza Dio non ha futuro. Pertanto proprio la multiculturalità ci chiama a rientrare nuovamente in noi stessi.

Come andranno le cose in Europa in futuro non lo sappiamo. La Carta dei diritti fondamentali può essere un primo passo, un segno che l’Europa cerca nuovamente in maniera cosciente la sua anima. In questo bisogna dare ragione a Toynbee, che il destino di una società dipende sempre da minoranze creative. I cristiani credenti dovrebbero concepire se stessi come una tale minoranza creativa e contribuire a che l’Europa riacquisti nuovamente il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell’intera umanità.”

Esiste infine un ulteriore contributo, sottolinea Enzo Bianchi, priore di Bose, che i cristiani dovrebbero dare per essere veramente fedeli al vangelo e autenticamente “profetici”: la ricerca dell’unità.

Unità dei cristiani, innanzitutto: se i discepoli di Gesù Cristo continuano a essere divisi, a opporsi tra loro, se non riescono nemmeno a incontrarsi per discutere i motivi di dissenso, se di fatto con il loro proselitismo fomentano il “mercato delle fedi”, allora il loro stesso agire per il progresso della fede risulterà depotenziato e la loro eventuale e occasionale alleanza su singoli aspetti della normativa europea sarà letta dai non cristiani come unione strategica.

Tra le chiese occorre che l’ecumenismo divenga un atteggiamento quotidiano che non consenta a una chiesa di avanzare senza l’altra o, peggio ancora, contro di essa: solo così si potrà predisporre tutto in vista di una comunione autentica e feconda.

L’unità delle chiese deve essere perseguita come servizio all’unità dell’umanità: i cristiani devono collocare ogni processo di unità in una prospettiva universale, a servizio dell’intero genere umano. Un impegno per la concordia tra le genti e le culture va accompagnato dalla ricerca convinta della pace, dall’educazione alla convivenza pacifica delle nuove generazioni cristiane che non hanno conosciuto gli orrori della guerra, da uno sforzo a evitare qualsiasi scontro di civiltà e a volgere invece le tensioni in occasioni di confronto e di arricchimento reciproco.

Allora si potrà andare verso una mondializzazione della solidarietà, una globalizzazione della giustizia e della pace.

Solo così si potrà sempre di più pensare e progettare insieme, cristiani e non cristiani, la governance del mondo, obiettivo per il quale un’Europa capace di umanesimo potrà dare il suo fondamentale contributo.


G. Reale, Radici culturali e spirituali dell’Europa. Per una rinascita dell’”uomo europeo”. Raffaello Cortina Editore, Milano 2003.

B. Croce, Discorsi di varia filosofia, vol. I, Laterza, Bari 1945, pp. 5-27.

F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, a cura di E. Sestan e A. Saitta, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 162.

T. S. Eliot, Appunti per una definizione della cultura. Appendice: L’unità della cultura europea, in Opere 1939-1962, ed. it. a cura di R. Sanesi, Bompiani, Milano 1993, p. 638.

http://www.vigolenoitaly.com/ottobre03_archivio.html

G. Reale, op. cit. , pag. 79 e segg.

S. Kierkegaard, Diario, 3° ed. riv. , a cura di C. Fabbro, Morcelliana, 12 voll., Brescia 1980-1983, vol.II, p.187.

Gen 1, 26-27.

Sal 8, 4-9.

Agostino di Ippona, Commento al Vangelo e alla prima epistola di Giovanni, Città Nuova Editrice, Roma 1968; trattato 20, 12 sgg, vol. I, p. 481.

W. Kasper, Il dialogo ecumenico elemento  fondamentale per la costruzione dell’Europa, May 29, 2011 su http://www.cardinalrating.com/cardinal_45__article_10704.htm

http://www.treccani.it

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W. Jasper, op.cit.

Giovanni Paolo II, Insegnamenti. X/I [1987] 1472-1481; trad. in “L’Osservatore Romano”, 2 maggio 1987. Ripreso da Mario Spezzibottiani in Giovanni Paolo II Europa Un magistero tra storia e profezia. Piemme, Casale Monferrato 1991.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata solennemente proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza e una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo da Parlamento, Consiglio e Commissione. Con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, la Carta di Nizza ha il medesimo valore giuridico dei trattati, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea. www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf

Proprio nei riguardi della sperimentazione che comporta distruzione di embrioni è stata promossa e si va concludendo, in Europa, la prima iniziativa in assoluto di democrazia diretta, dal nome “One of Us”, che ha già raggiunto e superato il traguardo di un milione di firme.

Su questo punto anche la Corte europea dei Diritti Umani (Strasburgo) – che non è un Organo dell’Unione, ma del Consiglio d’Europa, che ha 47 Stati membri, fra cui anche la Russia – balbetta.

A Bruxelles, ai giardini, ho visto una lapide ebrea che diceva: “Chi salva una vita salva il mondo intero”.

M. Petrini, Dignità del morire. In: htpp:/oasinforma.com/art/art-dignita.htm

M. Doldi, La figura del medico: dal paternalismo alla paternità. In Dio Padre Misericordioso. Marietti, Genova 1998.

W. Kasper, op. cit.

D. Tettamanzi, Le radici cristiane dell’Europa e la bioetica. In Orizzonte medico, n. 5, p. 8 e segg. 2012, periodico dell’AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani) Roma.

Card. Joseph Ratzinger, Lectio Magistralis sulle Radici spirituali dell’Europa. Biblioteca del Senato, Sala Capitolare del Chiostro della Minerva, Roma, 13 maggio 2004. Pubblicato su “Il Foglio Quotidiano”, anno IX, n. 132, 14 Maggio 2004. http://www.disf.org/Documentazione/50.asp

E. Bianchi, Pensare l’Europa su http://www.peacelink.it/paxchristi/a/14840.html

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http://www.fiamc.org/texts/ecumenism-catholic-doctors/

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Il Bureau Ecumenico della FEAMC a Bari – Conversano

Dal 18 al 20 ottobre 2013 si è tenuto un Bureau della FEAMC nel Complesso Conventuale di Santa Maria dell’Isola a Conversano sul tema “Europa, Etica ed Ecumenismo”. All’incontro sono stati invitati i rappresentanti dei Patriarcati di Mosca e Istanbul. Il Patriarca Ecumenico Ortodosso di Istanbul Bartolomeo I° ha anche inviato un personale messaggio alla FEAMC, mentre il Patriarca Ortodosso di Mosca e di tutta la Russia Kirill ha mandato come sua rappresentante la Dr.ssa Anna Sonkina. Al Bureau sono intervenuti i colleghi medici cattolici di Inghilterra, Portogallo, Francia, Belgio, Olanda, Germania, Ungheria, Svizzera, Croazia, Ucraina (di rito greco cattolico) e Italia. L’incontro aveva come obiettivo il confronto tra le posizioni dei medici delle Chiese Ortodosse e quelle dei medici cattolici europei sui temi etici al fine di poter “far squadra” ecumenicamente in Europa. Il fine è stato ampiamente conseguito grazie alla splendida introduzione del Prof. Alfredo Anzani  e alla chiarezza espositiva della Dr.ssa Sonkina, nonché ai contributi dati da tutti gli intervenuti e a quelli fatti pervenire per iscritto dai colleghi di Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Spagna, Slovenia, Polonia e Romania. La Concelebrazione d’apertura del Bureau è stata tenuta nella Cattedrale di Conversano sulla tomba di San Flaviano, Patriarca di Costantinopoli, mentre la Concelebrazione conclusiva, presieduta dall’Arcivescovo di Bari S.E. Mons. Francesco Cacucci, nella Basilica di San Nicola in Bari. A Conversano è stato posto il primo passo di un confronto ecumenico – fortemente favorito da P. Hyacinthe Destivelle del Pontificium Consilium ad Christianorum Unitatem Fovendam – tra medici cattolici ed ortodossi sulle tematiche etiche al fine di poter redigere documenti comuni per le attività legiferative del Parlamento Europeo, dopo le positive esperienze della FEAMC maturate nell’autunno 2012 a Bruxelles sulle Fragilità Umane e nella primavera 2013 a Zagabria sulle Dichiarazioni anticipate di fine vita. Inizia , così, una stagione nuova e propositiva della FEAMC, che, superando al fase delle discussioni ad intra, si apre in una visione ecumenica al servizio dell’annuncio evangelico negli ambiti bioetici, incidendo in sede sia di Comitato Etico Europeo che di Parlamento Europeo.

Vincenzo Defilippis

Delegato AMCI in FEAMC e Vicepresidente FEAMC (Medici Cattolici Europei)

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