Sono «giorni di forte preoccupazione e crescente inquietudine», giorni in cui «la fragilità umana e la vulnerabilità della presunta sicurezza nella tecnica sono insidiate a livello mondiale dal coronavirus, davanti al quale si stanno piegando tutte le attività più significative — economia, imprenditoria, lavoro, viaggi, turismo, sport e perfino il culto — e il suo contagio limita notevolmente anche la libertà di movimento». Per questo il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale si unisce alla voce di Papa Francesco, rinnovando la vicinanza della Chiesa a quanti soffrono a causa del contagio, alle vittime e alle loro famiglie, nonché a tutti gli operatori sanitari in prima linea. Lo fa attraverso un messaggio — diffuso il 9 marzo — del cardinale prefetto Peter Kodwo Appiah Turkson.

Rivolgendosi ai presidenti delle Conferenze episcopali, ai vescovi incaricati della pastorale della salute, agli operatori socio-sanitari e pastorali, alle autorità civili, ai malati e alle loro famiglie, ai volontari e a tutte le persone di buona volontà, il porporato esorta a pensare anzitutto «ai Paesi più interessati dal contagio» e a ricordare nella preghiera «quanti sono impegnati a scongiurare il rischio per la salute pubblica e la crescente paura che tale dilagante epidemia sta generando». Quindi incoraggia «le strutture e le organizzazioni sanitarie laiche e cattoliche, nazionali e internazionali, a continuare a offrire sinergicamente l’assistenza necessaria alle persone e alle popolazioni, nonché ad attuare tutti gli sforzi che si rendono indispensabili per trovare una soluzione, secondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e delle autorità politiche nazionali e locali».


Dopo aver ricordato come sia Papa Francesco, sia diversi capi di Stato abbiano «mostrato solidarietà verso i paesi più colpiti, donando prodotti medico-sanitari e aiuti finanziari», il prefetto del Dicastero in cui è confluito, tra gli altri, il Pontificio consiglio la pastorale della salute, esprime l’auspicio «che tutti possano proseguire in quest’opera di sostegno, poiché di fronte a una tale emergenza tante nazioni, soprattutto quelle con sistemi sanitari deboli, si troveranno sopraffatte dagli effetti del virus, e magari non saranno in grado di far fronte alle richieste di cure e di prossimità». Ecco allora, è l’aspettativa di Turkson, che «questo momento di grande necessità potrà essere un tempo propizio per rafforzare la solidarietà e la vicinanza tra gli Stati, l’amicizia tra le persone» e per «promuovere la solidarietà internazionale nella condivisione degli strumenti e delle risorse».


Anche perché, fa notare l’autore del messaggio, l’incidenza del Covid-19 «evidenzia maggiormente le disuguaglianze gravi che caratterizzano i nostri sistemi socioeconomici» — ovvero quelle riguardanti le risorse e la fruizione di servizi sanitari, come quelle di personale qualificato e di ricerca scientifica — davanti alle quali «la famiglia umana è interpellata a sentirsi e vivere realmente come una famiglia interconnessa e interdipendente». Ne ha dato prova, chiarisce in proposito, la stessa evoluzione della pandemia, che ha «colpito inizialmente un solo Paese per poi diffondersi in ogni parte del globo».


Da qui il rilancio dei valori centrali della fratellanza — «dell’essere legati l’uno all’altro in modo indissolubile» — e della solidarietà, che «aiuta a vedere l’“altro” (persona, popolo o nazione), come un nostro “simile”». E poiché «il valore della solidarietà necessita altresì di essere incarnato», il porporato invita a pensare concretamente «al vicino di casa, al collega di ufficio, all’amico di scuola, ma soprattutto ai medici e agli infermieri che rischiano la contaminazione e l’infezione per salvare i contagiati. Questi operatori vivono e indicano il senso del mistero della Pasqua: donazione e servizio». In coloro che sono affetti dal coronavirus, infatti, è possibile individuare «oggi l’espressione di Cristo che soffre, e allo stesso modo del mal capitato nella parabola del buon Samaritano», che necessita «dall’umanità gesti concreti di prossimità». Anzi, «le persone che soffrono per il contagio costituiscono un “laboratorio”» in cui sperimentare nuove «forme di misericordia» e di cura per arginare «la poliedricità della sofferenza ».


Infine il prefetto del Dicastero osserva come «all’inizio di questo itinerario quaresimale, per molti privo di alcuni segni liturgici comunitari come la celebrazione dell’Eucaristia», i cristiani siano «chiamati a un cammino ancora più radicato su ciò che sostiene la vita spirituale: la preghiera, il digiuno e la carità». Ed ecco allora che «l’impegno profuso per contenere la diffusione» del contagio dovrebbe essere «accompagnato dall’impegno di ogni singolo fedele per il bene più grande: la riconquista della vita, la sconfitta della paura, il trionfo della speranza».


In particolare «alle comunità maggiormente provate» va la raccomandazione «di non vivere tutto come una privazione. Se non possiamo riunirci nelle nostre assemblee per vivere insieme la nostra fede, come siamo soliti fare, Dio ci offre l’occasione per arricchirci, per scoprire nuovi paradigmi, e ritrovare il rapporto personale con Lui», assicura il porporato, rimarcando che «la preghiera è la nostra forza, la nostra risorsa. Preghiamo allora Dio Padre perché accresca la nostra fede, aiuti gli ammalati nella guarigione e sostenga gli operatori sanitari nella loro missione. Impegniamoci per evitare la stigmatizzazione di chi è colpito: la malattia non conosce confini né colore di pelle; parla, invece, la stessa lingua. Riusciremo così a servire chi soffre, accompagnandolo nel modo migliore, e a essere solidali con i bisognosi senza giudicarli».


Infine il cardinale Turkson lancia l’appello alle autorità politiche ed economiche «a non trascurare la giustizia sociale e il sostegno all’economia, e alla ricerca, ora che il virus sta creando, purtroppo, una nuova “crisi economica”. Noi — conclude — continueremo in tutti i modi a sostenere gli sforzi degli operatori sanitari e delle strutture medico-sanitarie nelle varie parti del mondo, soprattutto in quelle più remote e in maggiore difficoltà, confidando anche nella solidarietà operosa di tutti».


L’Osservatore Romano, 10-11 marzo 2020