Rito ambrosiano

V Domenica dopo il Martirio

 Matteo 22, 34-40

In quel tempo. I farisei, avendo udito che il Signore Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Commento

Testo breve, ma decisivo: siamo al cuore dell’insegnamento di Gesù.

Quante cose bisogna fare nella vita? Troppe! Ciascuno di noi sa di quante cose si riempie la giornata.

Ma quante sono quelle che rallegrano il cuore? Realisticamente dobbiamo dire che ci sono giornate in cui nessuna cosa fatta ci ha rallegrato il cuore.

Ed ecco che i farisei e dottori della legge chiedono a Gesù di indicare tra i 613 comandamenti della legge giudaica qual è a suo parere il più grande. In realtà non ci riuscivano neppure loro, tanto che avevano almeno una dozzina di risposte diverse. L’opinione più diffusa diceva che il comandamento più grande era quello del sabato. In ogni caso tutti e 613 dovevano essere osservati. Mancava nell’etica giudaica una gerarchia di importanza, un cuore caldo che portasse a unità.

Gesù li spiazza tutti, richiamando due comandamenti che si trovano nella Bibbia e non nei libri dei rabbini.

Dal libro del Deuteronomio prende il primo: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Dt 6,5).

E dal libro del Levitico prende il secondo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,18).

Gesù dice che questi comandamenti sono la sorgente di ogni altro. Ciò significa che l’amore per Dio non può stare senza l’amore del fratello e l’amore per il fratello non c’è se non c’è l’amore per Dio.

Da qui nasce un modo di essere credenti da figli di Dio. Non si può avere fede in Dio e danneggiare il fratello e neppure far finta che non esista, occorre amarlo.

Quindi ricaviamo che ogni nostra azione deve essere espressione di amore per Dio e per i fratelli. Questo vale per il lavoro, per il tempo libero, per i colleghi e per i familiari, e per gli sconosciuti.

Anche la Chiesa deve sempre tenere conto che ogni sua legge deve essere applicazione, specificazione di queste parole di Gesù. Ogni legge della Chiesa deve essere di aiuto ad amare di più Dio e gli uomini, altrimenti perde il suo senso.

Rito romano

XXVI domenica del TO

Matteo 21,28-32

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».


Commento


Certo che Gesù non le manda a dire. Egli si trova di fronte a certe persone che fanno dell’ipocrisia una professione, per questa ragione li fustiga a dovere.
La parabola dei due figli distrugge l’ipocrisia dei capi religiosi di Israele. Essi sotto una veste di cortesia, il figlio che dice “Si, Signore”, non vivono la sostanza della legge di Dio.
Questi ipocriti si condannano con la propria bocca dicendo che il figlio che aveva detto di no ha, in realtà, fatto la volontà del Padre.
E Gesù li atterra dicendo che i pubblicani e le prostitute li precederanno nel regno di Dio. La potenza di questa frase di Gesù la si comprende nella sua portata reale, se si considera che secondo le dottrine rabbiniche pubblicani e prostitute non sarebbero nemmeno entrati nel regno.
Se volete entrare nel regno, liberatevi dalla vostra ipocrisia e convertitevi è la conclusione. Alla fine Gesù non chiude la porta neppure a loro, come non la chiude a nessuno.
Nella confusione morale dei nostri tempi, in cui ognuno fa gli affari suoi, sembra che non si ponga il problema del giudizio sugli altri.
In realtà, noi giudichiamo moltissimo e siamo giudicati. Il livello del giudizio verso gli altri raggiunge sovente livelli di spietatezza impressionante. Mentre ci pavoneggiamo poco o tanto del nostro povero amore che, a volte, è un fantasma e non una realtà.

Viviamo in una condizione di grave decadenza morale, perché noi mediamente non vogliamo rendere conto delle nostre azioni e non ci vogliamo assumere le nostre responsabilità. Nel contempo, però, chiediamo agli di rendere conto fino all’ultimo dei loro comportamenti.

Gesù ci direbbe che c’è qualcosa che non va.

Buona domenica a tutti

Don Michele Aramini