La «Chiesa in uscita», calata nella concretezza della vita, aperta «all’accoglienza e all’incontro» e chinata sulle miserie e sulle ferite dell’uomo non può non tener conto degli imponenti flussi migratori che oggi coinvolgono in particolare l’Europa. L’ospedale da campo, più volte evocato da Papa Francesco, è stato al centro della relazione tenuta da monsignor Jean-Marie Mate Musivi Mupendawatu al convegno nazionale dei direttori degli uffici diocesani, delle associazioni e degli operatori pastorali della salute, che si è svolto nei giorni scorsi a Palermo.

Parlando della necessità di mettersi al «servizio della cultura dell’incontro e della pace», il segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per gli operatori sanitari ha ricordato che «l’agire ecclesiale nel mondo della salute diventa un impegno di dialogo, di attenzione e di carità con l’uomo e la società». Nel riferirsi in particolare alla situazione italiana, dove si registra la presenza di oltre cinque milioni di immigrati, monsignor Mupendawatu ha affermato che proprio «l’ambito medico-sanitario risulta essere uno spazio da privilegiare» per alimentare una cultura «dell’accoglienza, del dialogo, dell’incontro nella fratellanza universale». Tale dimensione, infatti «riguarda l’uomo e ogni uomo, indipendentemente dalla sua appartenenza a una comunità religiosa o Chiesa». In particolare «il riconoscimento della fragilità della comune condizione umana può essere la premessa e l’opportunità per evidenziare ciò che ci accomuna». L’impegno in ambito medico-sanitario, ha aggiunto il segretario del dicastero vaticano per la salute, «può facilitare un confronto sulla vulnerabilità dell’uomo e la sua dipendenza ontologica da Dio creatore e, in più, può condurre a una promozione comune dei diritti umani, dell’accesso alle cure, della giustizia sociale e dell’equità e della sanità sostenibile nella prospettiva di una nuova civiltà dell’inclusione». Nella relazione tali aspetti sono stati evidenziati sia rispetto al dialogo ecumenico sia a quello interreligioso e multietnico. In particolare, considerando le problematiche conseguenti ai flussi migratori, significative sono apparse le riflessioni in merito al confronto con il mondo islamico e con le culture africane. «La promozione della dignità della persona umana e la valorizzazione della nostra fraternità umana — ha detto il prelato — possono costruire i ponti necessari per un incontro con il mondo musulmano». La cultura dell’accoglienza, ha aggiunto, «può favorire una civiltà della pace e della tolleranza religiosa attraverso l’educazione ai valori del dialogo e del confronto in modo da innescare un approccio all’islam che possa contribuire a sconfiggere il fondamentalismo e la sindrome della paura dell’altro».

L’Osservatore Romano, 12 maggio 2016.

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