«Niente può rivelarsi tanto disastroso per la fede e per la cultura sanitaria e medica, quanto il perdere di vista la totalità della persona». E purtroppo «la cultura medica dei nostri giorni», pur di fronte a crescenti responsabilità etiche, «tende a trasformare il medico sempre più in un tecnico che offre soluzioni al di fuori di ogni possibile orizzonte di senso e di visione dell’uomo».

È stato un forte invito a «coniugare insieme il bisogno di salute dell’uomo con quello della sua salvezza» quello fatto dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, che nella mattina di sabato 29 agosto ha visitato a Roma il Gemelli per «invocare la benedizione del cielo sul cammino» della nuova fondazione che dal 1° agosto di quest’anno ha assunto la gestione del policlinico in autonomia dall’Università cattolica del Sacro Cuore, «pur rimanendone parte integrante, soprattutto nei valori ispiratori e nelle finalità apostoliche e formative».

Alla presenza, tra gli altri, del presidente della fondazione, Giovanni Raimondi, e del rettore della Cattolica, Franco Anelli, il porporato ha celebrato nella hall del policlinico la messa per i degenti e il personale dell’ospedale. Hanno concelebrato il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale della Cattolica, monsignor Jean-Marie Mate Musivi Mupendawatu, segretario del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, e don Andrea Manto, direttore del centro per la pastorale sanitaria del Vicariato di Roma.

Nell’omelia, il cardinale Parolin ha fatto riferimento alla figura di Giovanni Battista — il 29 agosto la liturgia fa memoria del martirio del precursore — invitando tutti a prendere a modello l’«amicizia spirituale» che legava Gesù e il Battista: quell’amicizia «che lega le persone sul piano delle cose di Dio, le unisce nel desiderio di compiere la sua volontà e nell’aspirare alla perfezione della benevolenza e della carità, proprie del Padre celeste». Con Giovanni e la sua predicazione, ha ricordato il segretario di Stato, «è iniziata la grande novità del regno di Dio, la cui caratteristica fondamentale consiste nell’irruzione di Dio stesso nella storia umana e nella sua prossimità a ogni uomo che “lo teme e pratica la giustizia, qualunque nazione appartenga”».

E Giovanni, con la sua «totale e assoluta consacrazione a Dio, nella quale non c’è spazio per i compromessi, né per i cedimenti a compiacenti lusinghe e ricatti di qualsiasi genere», deve essere «ancora preso sul serio» come «guida insostituibile per ogni cristiano e per ogni uomo seriamente alla ricerca di Dio». Esempio e modello anche per chi, come al policlinico, lavora quotidianamente in campo sanitario. Alla nuova fondazione che gestisce il Gemelli, il porporato ha augurato di operare «in una sempre maggiore fedeltà alla volontà di Dio», impegnandosi a «trattare tutti con quel rispetto, quell’accoglienza e quella delicatezza che esige la loro dignità di persone umane, create a immagine e somiglianza di Dio». Nonostante le attuali problematiche culturali e sociali, infatti, «punto fermo della comunità cristiana in ambito sanitario — ha ribadito il cardinale Parolin — è una forma di pensiero che consideri l’uomo nella sua totalità».

Nella sua omelia il segretario di Stato ha ricordato anche la mancata visita al policlinico di Papa Francesco che, lo scorso 27 giugno, dovette rinunciare a causa di un’indisposizione. A tale riguardo il porporato ha detto: «Speriamo che questo incontro, prima o dopo, possa aver luogo» e, invitando tutti a pregare per il Pontefice e il suo ministero, ha concluso citando la preghiera che chiude l’enciclica Laudato si’, nella quale si ricorda che nemmeno uno degli essere della terra è dimenticato da Dio e si invoca l’aiuto del Signore affinché non si cada «nel peccato dell’indifferenza», si ami «il bene comune», si «promuovano i deboli» e si abbia «cura di questo mondo che abitiamo».

Dopo la messa, il cardinale ha visitato il centro Nemo Roma, dove sono assistiti i malati di sclerosi laterale amiotrofica e di atrofia muscolare spinale, e il reparto di ostetricia e neonatologia.

L’Osservatore Romano, 30 agosto 2015