Dott. Ermanno Pavesi—

  1. L’enciclica Laudato si’ di papa Francesco 

L’enciclica di papa Francesco Laudato si’ offre alcuni importanti spunti per affrontare la teoria del gender.

Molto spesso l’enciclica viene considerata unicamente come una enciclica ecologica, come se si occupasse unicamente di questioni ambientali, questioni che effettivamente sono affrontate ma vengono inserite in un contesto molto più ampio, con la critica del paradigma tecnocratico, che presume di poter comprendere completamente la realtà, di poterla dominare, e quindi di poter pianificare l’uomo e la società del futuro per mezzo della ragione tecnica, ciò che rappresenta la sfida maggiore per un’ecologia integrale: «La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico» (n. 111).

Il titolo stesso dell’enciclica Laudato si’, ripreso dal Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi (1182-1226), presenta il concetto di creazione come la chiave di lettura più profonda delle questioni ecologiche e, riconoscendo nella natura un piano divino, trascende la visione delle scienze naturali: «dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazionepuò essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale» (n. 76).

L’enciclica ricorda in numerosi passaggi l’importanza fondamentale del concetto di creazione e lo difende da teorie naturalistiche che escludono tanto l’esistenza quanto l’opera di un Dio creatore, e sostengono, invece, che la natura e l’uomo, così come oggi si presentano, sarebbero solamente il prodotto spontaneo di uno sviluppo determinato non da un piano, ma solo dal caso e dalle leggi di natura. «Sono consapevole che, nel campo della politica e del pensiero, alcuni rifiutano con forza l’idea di un Creatore, o la ritengono irrilevante, al punto

da relegare all’ambito dell’irrazionale la ricchezza che le religioni possono offrire per un’ecologia integrale e per il pieno sviluppo del genere umano. Altre volte si suppone che esse costituiscano una sottocultura che dev’essere semplicemente tollerata» (n. 62).

L’enciclica respinge visioni del mondo che negano la creazione: «Così ci viene indicato che il mondo proviene da una decisione, non dal caos o dalla casualità, e questo lo innalza ancora di più. Vi è una scelta libera espressa nella parola creatrice» (n. 77). Più avanti, il

concetto di “parola creatrice” viene chiarito ulteriormente: «Il prologo del Vangelo di Giovanni (1,1-18) mostra l’attività creatrice di Cristo come Parola divina (Logos)» (n. 99). «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv, 1, 1-3).

La natura diventa quindi il luogo di una rivelazione divina e proprio «san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà» (n. 12).

Considerare la natura come creazione, cioè come manifestazione del piano divino, la valorizza, ma contemporaneamente, sottolineando la distanza che la separa da Dio, la “demitizza” (cfr. n. 78), e non le attribuisce neppure una dignità pari a quella dell’uomo. Considerare la natura una manifestazione di Dio «non significa equiparare tutti gliesseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità. E nemmeno comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità. Questeconcezioni finirebbero per creare nuovi squilibri nel tentativo di fuggire dalla realtà che ci interpella» (n. 90).

È necessario riconoscere la superiorità dell’uomo rispetto agli altri enti di natura, la particolarità delle sue funzioni psichiche e la loro non riducibilità a processi naturali, fisici e biologici. L’enciclica respinge, quindi, la pretesa delle scienze moderne, e in particolare di certe correnti delle neuroscienze e della neurofilosofia, di spiegare l’attività psichica come un fenomeno naturale e come risultato di un processo evolutivo: «L’essere umano, benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti. Ognuno di noi dispone in sé di un’identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Dio stesso. La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività, l’interpretazione, l’elaborazione artistica ed altre capacità originali mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico. La novità qualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno dell’universo materiale presuppone un’azione diretta di Dio, una peculiare chiamata alla vita e alla relazione di un Tu a un altro tu. A partire dai testi biblici, consideriamo la persona come soggetto, che non può mai essere ridotto alla categoria di oggetto» (n. 81).

La concezione dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio «ci mostra l’immensa dignità di ogni persona umana» (n. 65), ma, contemporaneamente, comporta l’accettazione della legge divina e della dignità del creato.

L’enciclica respinge l’accusa che il discorso biblico avrebbe alimentato un atteggiamento possessivo e dominatore della natura, al contrario, «Proprio per la sua dignità unica e per essere dotato di intelligenza, l’essere umano è chiamato a rispettare il creato con le sue leggi interne, poiché “il Signore ha fondato la terra con sapienza” (Pr 3,19)» (n. 69). Ma l’uomo non ha accettato il suo ruolo di creatura e «Questo fatto ha distorto anche la natura del mandato di soggiogare la terra (cfr Gen 1,28) e di coltivarla e custodirla (cfr Gen 2,15). Come risultato, la relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è trasformato in un conflitto (cfr Gen 3,17-19)» (n. 66).  Il rifiuto di questo ruolo, invece, ha dato origine a “un antropocentrismo dispotico” (n. 68) e “deviato” (n. 69).

Intesa come creazione la natura non sarebbe materia inerte e manipolabile a piacimento.

«In realtà, l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose» (n.124).

Negato il Creatore, il rapporto uomo-natura può essere di due tipi: l’uomo viene considerato come una “particella della natura” e quindi si può cadere nel naturalismo, oppure l’uomo viene considerato come superiore alla natura, con il rischio di cadere in un antropocentrismo assoluto.

L’enciclica sottolinea che la crisi ecologica attuale non è limitata a una relazione conflittuale dell’uomo con la natura esterna, alla sua incapacità di riconoscere la natura come creato, quindi la struttura e l’ordine delle cose, ma riguarda anche il rapporto dell’uomo con la propria natura, anche l’incapacità di accettare la propria natura di maschio e femmina. «L’ecologia umana implica anche qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscritta nella sua propria natura […].  Affermava Benedetto XVI che esiste una “ecologia dell’uomo” perché “anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere”. In questa linea, bisogna riconoscere che il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. […] Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. […] Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di “cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa”» (N. 155).

  1. La trasformazione della persona umana 

Diversi autori hanno descritto questa crisi d’identità dell’uomo moderno e postmoderno: il filosofo Alasdair MacIntyre ha scritto che «è necessario rilevare che l’io specificamente moderno, nell’acquistare la sovranità nel suo proprio reame, ha perduto i confini tradizionali che gli erano stati forniti da un’identità sociale e da una visione della vita umana come processo orientato verso un fine prestabilito».

Questa crisi antropologica si manifesta anche nella confusione dei termini per designare l’uomo. Nella letteratura termini come persona, personalità, sé, identità, autocomprensione di sé, a volte vengono utilizzati come sinonimi. Nelle sue considerazioni sul sé moderno, postmoderno e transmoderno lo psicologo americano Paul C. Vitz dichiara, per esempio, di usare «i termini ‘sé’, persona’ e qualche volta ‘identità’ come relativamente intercambiabili. Io spero che il contesto possa chiarire le differenze di significato di questi termini. Il concetto di persona è quello più ampio di queste nozioni, poiché include la totalità di corpo, mente e spirito. Il sé è una sottocategoria, se si vuole, di persona; il sé non comprende normalmente lo spirito o la totalità di questi tre termini, ne è una parte. Identità è una sottocategoria o componente del sé».

Il fatto che il termine persona possa essere sostituito da quello di identità o di sé è un’eredità della modernità caratterizzata dal dualismo di res cogitans e di res extensa del filosofo francese René Descartes (1596-1650) che con l’intenzione di salvare le attività psichiche superiori dalle tendenze del tempo di spiegare tutto l’uomo meccanicisticamente, ha separato nettamente la psiche, res cogitans, dalla ‘macchina’ del corpo, res extensa. In questo modo la psiche è stata resa indipendente dal corpo e, per così dire ‘disincarnata’, è diventata ‘autonoma’, nel vero senso del termine che deriva dal greco autòs sé stesso e nòmos legge, e l’individuo moderno non accetta leggi o norme, ma è lui stesso che pretende di decidere le norme del proprio comportamento. Cartesio si è opposto alla concezione classica dell’anima come forma del corpo, che quindi ammette uno stretto rapporto tra una determinata anima e un determinato corpo.

Lentamente però la concezione ‘moderna’ dell’Io, caratterizzata da autonomia e da una sopravvalutazione della ragione che ha portato al razionalismo, è stata messa in discussione, con il passaggio graduale a una visione postmoderna. Karl Marx (181-1883) ha negato l’esistenza di una natura umana: «L’esistenza umana non è una astrazione immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà, essa è l’insieme dei rapporti sociali». Per il fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud (1856-1939) l’Io è diventato solo un compromesso tra l’inconscio, cioè l’Es, e la realtà esterna. L’altro importante rappresentante della psicologia del profondo del XX secolo, Carl Gustav Jung (1875-1961), ricollegandosi al significato antico e precristiano di persona che designava la maschera indossata dagli attori di teatro, ritiene che l’uomo, in quanto persona, impersona unicamente un ruolo che gli è stato imposto dalla società. Jung decostruisce così la concezione cristiana di persona: non esisterebbe una relazione tra natura dell’individuo e la dimensione personale, ma, come in una rappresentazione teatrale, l’individuo interpreterebbe il ruolo che gli è stato assegnato, l’uomo postmoderno considera la propria esistenza come la partecipazione al carnevale, sceglie quale maschera vuole indossare, o forse lo crede solamente, perché in realtà le sue scelte spesso non sono libere ma condizionate.

Nel passaggio dall’Io moderno a quello postmoderno, il razionalismo ha lasciato il posto al relativismo: non esisterebbe un ordine morale oggettivo e normativo. Ciascuno si arroga il diritto di assumere la individualità che preferisce. Da una parte il relativismo ha influenzato l’apertura a ogni forma di individualismo riconoscendo nuovi diritti, dall’altra i progressi della medicina e delle biotecnologie hanno offerto nuovi mezzi per manipolare il corpo umano.

  1. Sigmund Freud e la concezione bisessuale dell’uomo 

Nelle discussioni sulle nuove teorie sulla identità sessuale raramente si ricorda il ruolo svolto dalle teorie di Sigmund Freud. 

Freud ha criticato la letteratura scientifica del suo tempo sull’omosessualità, perché non vi si trova «una demarcazione sufficientemente netta tra i problemi della scelta oggettuale da un lato e il carattere sessuale e l’impostazione sessuale dall’altro».

Per spiegare la tendenza sessuale di un individuo Freud ha distinto tre aspetti: le «caratteristiche sessuali fisiche (ermafroditismo somatico)», le «caratteristiche sessuali psichiche (impostazione maschile o femminile)» – un concetto che presenta affinità con quello moderno di “ruolo di genere” –, e il «tipo di scelta oggettuale», cioè l’orientamento sessuale. Freud ammonisce di “allentare nei nostri pensieri il legame tra pulsione e oggetto”, critica come semplicistiche teorie che fanno dipendere l’orientamento sessuale dal sesso biologico, e quindi l’esistenza di un finalismo degli istinti che limiterebbe la scelta delle modalità per soddisfarli, e si dichiara convinto «di un’originaria bisessualità dell’individuo umano». Per quanto riguarda, poi, l’identità sessuale, Freud la interpreta come interazione tra una determinata predisposizione e l’ambiente, e, da psicologo, sottolinea in particolare i rapporti interpersonali all’interno della famiglia.

3.1 Bisessualità dell’essere umano

Nonostante Freud in opere successive abbia sostenuto che la teoria della bisessualità dell’essere umano ha un fondamento biologico: «La psicoanalisi si pone sullo stesso piano della biologia in quanto ipotizza un’originaria bisessualità dell’individuo umano (nonché di quello animale)», questa teoria, che ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo della psicoanalisi, è stata suggerita a Freud da Wilhelm Fliess (1858-1928), un otorinolaringoiatra tedesco che per anni è stato il suo più stretto interlocutore, confidente, e consigliere. Nel corso del tempo, Freud ha attribuito un’importanza sempre maggiore alla teoria della bisessualità: già in una lettera a Fliess del 1896 la considera indispensabile per comprendere nevrosi e perversioni, in una lettera del 1898 sostiene di non sottovalutarla assolutamente e di aspettarsi che avrebbe potuto fornire ogni tipo di chiarimento.Successivamente ha sostenuto che: “L’indagine psicoanalitica si rifiuta con grande energia di separare gli omosessuali come un gruppo di specie particolare dalle altre persone. Essa, studiando eccitamento ????? sessuali da quelli che si manifestano, sa che tutte le persone sono capaci di scegliere un oggetto sessuale dello stesso sesso e hanno anche fatto questa scelta nell’inconscio».

In una lettera a Wilhelm Fliess del 7 agosto 1901, Freud gli ha attribuito la paternità della teoria della bisessualità e ricordava di aver sostenuto anni prima che la sessualità rappresentava la soluzione delle questioni psichiche, Fliess lo avesse corretto, precisando ‘nella bisessualità’. Ernst Jones (1879-1958), stretto collaboratore e biografo di Freud, considera la teoria della bisessualità un «[…] assioma che Freud ha acquisito dal suo amico Fliess e non ha più abbandonato: la naturale bisessualità non solo di tutti gli esseri umani, ma di tutte le creature viventi». Lo psicologo e storico della psicologia David Bakan (1921-2004), sostiene che Fliess «[…] nel suo pensiero principale, combinava tre importanti elementi cabalistici: il concetto di bisessualità, l’ampio uso della numerologia e la dottrina della predestinazione».

Dapprima Freud ha utilizzato la teoria della bisessualità per interpretare casi clinici e per spiegare la natura dell’essere umano, il suo sviluppo psichico e quindi anche il comportamento normale di ogni individuo; «[…] i legami di sentimenti libidici con persone dello stesso sesso hanno come fattori nella vita sessuale normale un’importanza non minore di quelli che si rivolgono al sesso opposto e una maggiore importanza come motivi di malattia»

Il fondatore della psicoanalisi nega l’esistenza di una differenza qualitativa tra comportamenti che definisce normali da una parte e comportamenti anormali o patologici dall’altra. Per esempio, la stessa costituzione psichica presente in persone con forme estreme di omosessualità sarebbe presente, anche se solo in «intensità minore, nella costituzione di tipi di transizione e in individui manifestamente normali. Le differenze nei risultati possono essere di natura qualitativa: l’analisi indica che le differenze nelle condizioni sono soltanto quantitative». In altri termini, proprio per la natura bisessuale dell’individuo umano, forme estreme di omosessualità ed eterosessualità rappresenterebbero unicamente i poli estremi di un ventaglio di possibilità intermedie, di “tipi di transizione”. 

Freud era quindi convinto non solo della sua importanza per la spiegazione di fenomeni patologici, ma che la bisessualità sarebbe una caratteristica della natura umana: «Anche l’uomo è un organismo animale d’indubbia disposizione bisessuale. L’individuo corrisponde a una fusione di due metà simmetriche, di cui, secondo l’opinione di alcuni ricercatori, l’una è puramente maschile, l’altra femminile».

In ogni essere umano sarebbero presenti originariamente le due componenti maschile e femminile che, a seconda delle condizioni in cui l’individuo si sviluppa e vive, potrebbero manifestarsi in forme e combinazioni molto differenti. A ogni modo non sarebbe possibile comprendere la psiche di un individuo senza tenere conto della componente opposta al suo sesso: «Da quando ho acquistato familiarità con l’idea della bisessualità, ritengo che questo fattore sia qui decisivo; senza tener conto della bisessualità, si potrà difficilmente giungere a comprendere le manifestazioni sessuali effettivamente osservabili nell’uomo e nella donna»

3.2 Lo sviluppo psichico

Freud costruisce la sua teoria della bisessualità su alcune ipotesi problematiche: ogni espressione di piacere nel bambino viene interpretata come soddisfazione di un desiderio sessuale e l’attaccamento del bambino o della bambina al genitore dello stesso sesso è considerato come omosessuale e quindi come manifestazione della loro bisessualità. Freud deve comunque ammettere che la psicoanalisi: «[…] non può chiarire l’essenza profonda di ciò che nel linguaggio comune e in quello biologico è chiamato ‘maschile’ e ‘femminile’, e deve limitarsi ad assumere questi due concetti ponendoli a fondamento dei propri lavori. Se tenta un’ulteriore riduzione, la mascolinità si dissolve nell’attività e la femminilità nella passività, il che è troppo poco».

Ogni individuo si svilupperebbe a partire dalla sua disposizione bisessuale. Freud, per esempio, afferma che la psicoanalisi non si propone di descrivere che cosa sia la donna, “ma di indagare il modo in cui essa diventa tale, il modo in cui dalla bambina, che ha disposizione bisessuale, si sviluppa la donna». Lo stesso varrebbe per i maschi: «tutti gli individui maschili, in seguito alla loro disposizione bisessuale e all’incrociata trasmissione ereditaria, uniscono in sé caratteri virili e femminili, cosicché la pura virilità e femminilità rimangono costruzioni teoriche di incerto contenuto». La natura bisessuale sarebbe presente in tutte le fasi della vita: «In tutti noi la libido oscilla normalmente, per tutta la vita, tra l’oggetto maschile e quello femminile» e starebbe alla base di comportamenti tanto normali quanto patologici.

  1. Origini esoteriche della teoria della bisessualità umana

Come ricordato, David Bakan sostiene che la teoria della bisessualità era ispirata dalle teorie cabalistiche di Wilhelm Fliess. Comunque, il tema della bisessualità ricorre anche in altre tradizioni esoteriche come concezione dell’essere umano androgino. Interessante è un famoso romanzo dello scrittore francese Honoré de Balzac, (1799 -1850): Séraphîta, nel quale la protagonista è un essere androgino, che nello stesso momento viene percepito e amato dagli altri protagonisti come donna come Séraphîta, o come uomo, con il nome maschile di Seraphitus. Séraphîta è un essere etereo, distaccato dalle cose di questo mondo e che non vive attivamente la sua sessualità, ma riesce a realizzare interiormente la sintesi della componente maschile e femminile, e alla fine del romanzo ascende al cielo come un angelo, precisamente come un serafino. Balzac dichiara apertamente di seguire la religiosità dell’esoterista Emanuel Swedenborg (1688-1772), e secondo lo storico delle religioni Mircea Eliade (1907-1986): «Séraphîta è senza dubbio il più affascinante dei romanzi fantastici di Balzac. Non certo a causa delle teorie di Swedenborg di cui è imbevuto, ma perché Balzac è riuscito a illuminare con la luce dell’arte un tema fondamentale dell’antropologia arcaica: l’androgino considerato come l’immagine esemplare dell’uomo perfetto».

Tra le varie tradizioni che hanno insegnato la presunta androginia originaria dell’essere umano per quanto riguarda la nostra area culturale è importante soprattutto il filone gnostico, che nei primi secoli della nostra era ha rappresentato un grave pericolo per il Cristianesimo, ma che ha continuato a minacciarne l’integrità fino ai giorni nostri, anche se sotto forme differenti.

  1. Conclusioni

Freud e la psicoanalisi hanno esercitato una considerevole influenza sulla psicologia moderna e, quindi, sulla civiltà occidentale e hanno avuto un ruolo importante nella rivoluzione sessuale e sulla teoria del genere, negando il finalismo tra l’apparato sessuale e l’orientamento sessuale, e sostenendo che fin dall’infanzia sarebbe possibile fissare l’orientamento sessuale su oggetti differenti e quindi sviluppare perversioni. Geneticamente però ci sono due sessi, il libro del Genesi racconta: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). L’enciclica Laudato si’ sostiene che l’uomo deve porsi «come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose» (n.124) e quindi anche le potenzialità di maschio e femmina. Per Freud, invece, «È istruttivo che il bambino possa, sotto l’influsso della seduzione, diventare un perverso polimorfo e possa venire avviato a tutte le possibili prevaricazioni», e ammette che «[…] è definitivamente impossibile non riconoscere qualche cosa di universalmente umano e di originario nella predisposizione uniforme verso tutte le perversioni».

Qui Freud usa ancora espressioni come ‘seduzione’, «predisposizione uniforme verso tutte le perversioni», le teorie di genere, invece, le considerano come legittime manifestazioni di una sessualità fluida.

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