Medici Cattolici: ministri di speranza

Scegliere di rinnovarsi: un’etica oltre la crisi

Cari amici,

in questo periodo di forzata quarantena, distanziamento e domiciliazione delle nostre attività, ho avuto la possibilità di attivare proficua collaborazione con il nostro Assistente Ecclesiastico Nazionale, Card. Menichelli. Abbiamo riflettuto insieme sui progetti e i programmi futuri e in perfetta sintonia abbiamo elaborato questo messaggio, che mi permetto di inviare alla vostra attenzione per condividerlo e con voi renderlo operativo.

La malattia in genere, ma quella pandemica in particolare, è un evento planetario che inevitabilmente apre una crisi a livello di tutti i sistemi sociali mondiali, alterando tutte le normali dinamiche esistenziali (economiche, sociali, etico-morali, personali e collettive).

Desidero partire dalla mia presa di coscienza di questa realtà per riflettere sulla missione educativa dei medici cattolici, che va intesa come servizio al Vangelo e come impegno di “care” con i malati, da trascriversi in un ideale manifesto.

Mi aiuta in questa riflessione, un recente commento di Luigino Bruni, pubblicato su Avvenire del 3 maggio scorso, sul salmo 6: Chiunque abbia attraversato il guado di una malattia seria ha imparato che quella malattia non riguardava soltanto il corpo. O meglio: ha capito che il corpo è intreccio di materia e di spirito, è carne spirituale e spirito incarnato. Le malattie sono quindi domande, rivolte a noi e agli altri. Sono tra i pochi momenti di verità che ci capita di vivere. Quando ci ritroviamo in un letto d’ospedale che pensavamo fosse solo per gli altri, finisce il tempo della fiction e inizia quello della verità e delle domande nude. Non ci accontentiamo più delle mezze bugie dette agli altri e a noi stessi: i referti e le diagnosi diventano linguaggi di un nuovo rapporto autentico con la vita e col mondo. Ecco perché una malattia può essere annuncio anche di una grande benedizione. Ed è proprio tra la sofferenza e la benedizione che si annidano le insidie religiose della malattia. L’uomo antico indirizzava le sue domande prima di tutto a Dio. Noi abbiamo impoverito i linguaggi della vita, e le domande le rivolgiamo soprattutto alla scienza e ai dottori. Ma se la malattia diventa severa, prima o poi arrivano anche le domande profonde: “Ma perché proprio a me?”, “Che cosa si è guastato nella mia vita?”; “E perché?”. Ogni tanto, anche nel mezzo del nostro mondo spopolato di dèi, può tornare tremenda la domanda: “Di quale colpe mi sono macchiato per meritarmi tutto questo dolore?”. È molto difficile uscire innocenti da una grave malattia. “

A questi interrogativi ne aggiungerei altri tre:

  1. E’possibile oggi ripensare i medici cattolici come veri e propri testimoni di carità, attori di una medicina-servizio, medicina-vocazione, medicina-missione?
  2. Ha un senso nella cultura contemporanea riproporre la famiglia come fulcro nel prendersi cura delle fragilità?
  3. Entrambe queste sono sfide possibili o impossibili?

Nell’emergenza di questa pandemia i medici si sono ritrovati in prima linea, in trincea, accanto agli infermieri.

Papa Francesco, all’inizio di questo mese mariano, ha ricordato che 154 medici sono morti per contagio da Covid-19 in una situazione paradossale, nella quale le peggiori angustie sono state:

  1. la solitudine dei medici, completamente sguarniti di sistemi di protezione e di strutture di adeguato intervento, privi di informazioni certe, soli a combattere l’epidemia a mani nude, a sacrificare la loro vita sul campo, semplicemente richiamati da una responsabilità deontologica e morale (Medici eroi già dimenticati!);
  2. la solitudine delle persone malate, lasciate senza conforto e con terapie provvisorie e non sempre validate, a volte sperimentali, nella disabilità, nella inabilità, nella sofferenza e nel fine vita, raramente colti nelle loro esigenze spirituali.

Per andare oltre il tema dell’eroismo degli operatori sanitari, proclamato dalle moltitudini a più voci e che tra l’altro si prevedeva essere solo “un fuoco di paglia” e per cercare di aprire una serena finestra, da un canto sul problema del coraggio e della dignità del medico e dall’altro sul problema del contenzioso medico-legale, divenuto molto presto ancor più virale del virus, noi desideriamo far tesoro di quanto accaduto per continuare da credenti ad essere 

  • co-autori del benessere delle popolazioni a noi affidate e assistite al massimo delle possibilità e degli umani mezzi e 
  • co-autori del ben operare nel rispetto delle norme a tutela di tutti, operatori e pazienti.

Queste esigenze emergono dalla puntuale analisi di come sono state vissute le situazioni di emergenza: ogni operatività pratica è stata indirizzata alla cura e alla speranza di guarigione, ma sono pochissimi quelli che hanno agito per la salvezza.

A questo scopo ho pensato di offrire due riflessioni che sintetizzo così: 1) qualificare il servizio nella visione ecclesiale; 2) migliorare la realtà sanitaria.

  1. Qualificare il servizio nella visione ecclesiale

Tra quarantena, distanziamenti, mascherine e dispositivi di protezione, ci si è completamente distratti dall’attuare medicina e assistenza di empatia; ci si è fatti convincere da un efficientismo di facciata, facendo forse scomparire alleanza, sorrisi, con-divisione, fede e rispetto per le esigenze spirituali degli ammalati.

E, attenzione, questi presupposti sono mancati soprattutto in quei casi in cui la guarigione non si poteva raggiungere, completamente dimentichi che, proprio quando non si può guarire, il prendersi cura è gesto importante, perché in questi casi ci corrobora e ci viene incontro il dono della fede. In molti casi anche la morte è stata mal gestita, tutti presi a documentare e filmare le colonne dei mezzi militari con i feretri dei morti. 

Tutti avevamo bisogno di conforto, di avere accanto qualcuno, non tanto per esigenze assistenziali, quanto per un aiuto morale e un degno accompagnamento verso la fine della vita. In queste circostanze si attendeva maggiore attenzione a riconoscere le due fragilità, quella del medico e quella del paziente, entrambe emerse con prepotente impeto.

L’assistenza nell’emergenza è stata tutta ospedalocentrica, mentre la medicina territoriale/di comunità è stata del tutto privata di ogni rapporto di vicinanza medico-paziente, addirittura schermata dietro una tecnologia di triage affidata al web, ritenuta più sicura dal punto di vista del contagio, ma ancora più virale per l’isolamento. E’importante chiarire che la medicina di comunità si basa principalmente su modelli di cura orientati al paziente e a tutto il suo contesto prossimo, composto dalla comunità familiare e da quella territoriale di appartenenza.

Nel contesto Covid-19, la medicina dell’efficienza tecnico-scientifica ha forse opacato quella medicina umanistica che invece sembra essere più vicina alle persone e più capace di affrontare l’impatto sociale, psicologico/esistenziale delle emergenze sanitarie e in questo caso pandemiche.

Parte da questi punti l’accurata indagine che i medici cattolici hanno intrapreso, avendo l’incarico di segnalare le fragilità e di saper raccogliere le parole ultime.

L’esperienza fatta è in grado di riferire anche il grido silenzioso dei sofferenti! Sicchè, oggi invochiamo una Chiesa ancor più presente nei luoghi della sofferenza, domiciliari o ospedalieri che siano.

Registriamo ad esempio che i cappellani non sempre sono stati ammessi nelle terapie intensive degli ospedali o nelle RSA, per timore di vicendevoli contagi. Anzi, v’è stato anche chi ha espresso negazione al loro intervento per paura che essi stessi fossero i “contagianti”.

Essere medici, operatori sanitari, cappellani, infermieri ecc. significa essere compagni di viaggio nelle sofferenze estreme: di qui la considerazione che i medici cattolici e tutte le professioni infermieristiche possono dare un grande impulso alla sanità ospedaliera, o domiciliare, o territoriale che sia, ma anche alla “storia della salvezza”.

La comunità cristiana deve avere consapevolezza di poter apportare il suo contributo con forza e ragionevolezza anche al dibattito pubblico.

Tutelare la salute dell’individuo rientra nella tutela del bene della vita, che è compatibile con i principi fondamentali della etica evangelica. 

La comunità cristiana e i medici cattolici sono chiamati a risolvere la contesa tra medicina tecno-scientifica e medicina umanistica per affrontare un discorso ragionevole sulla casa comune, in cui l’uomo e la sua vita sono collocati.

Come i primi cristiani, i medici cattolici debbono considerare il loro operare “missionario” come necessità e vogliono “scegliersi per rinnovarsi” nel comune intento di riproporre la loro attività professionale, coniugata con la fede. Essere cioè medici della unitotalità della persona, testimoni e operatori di carità, medici innamorati e nutriti dell’Eucarestia, che celebrano la medicina come vocazione, come missione, possibilmente anche in una nuova veste che è quella di essere al contempo “medici” e “Ministri straordinari della Santa Comunione”.

Ci sono medici dell’AMCI che desiderano poter condividere questo servizio nei luoghi della sofferenza.

La medicina della consolazione (con-solatio) ha bisogno di medici di famiglia! E la famiglia deve rimanere sempre il luogo primario, perché è in essa che la sofferenza viene ospitata per essere accompagnata con amore delicato e forte. La famiglia, in cooperazione con i medici cattolici, può diventare luogo di ascolto privilegiato e di accoglienza.

Ci piace pensare che i medici cattolici, insieme agli operatori di pastorale sanitaria, possano accogliere, ascoltare, consolare, ridonare speranza, testimoniare la fede, l’educazione alla vita e le ragioni della vita, luoghi per meglio curare le ferite (questi verbi sono come altrettanti “luoghi del Buon Samaritano”).

Forti dell’assunto che l’amore di Dio è in mezzo a noi, riteniamo occorra rinverdire passione – alleanza – servizio – dono – ricerca e impegno ed inserire, fra i compiti dei sanitari, il delicato ministero di poter portare l’Eucarestia ai pazienti, soprattutto ai non autosufficienti, a tutti i ricoverati, ma anche a tutti coloro che nella domiciliazione ricevono amorevole assistenza da quegli stessi medici di famiglia, operatori di medicina territoriale, meglio detta “medicina di comunità”,  che a richiesta potrebbero essere formati per diventare “Ministri straordinari della Santa Comunione”.

A questo riguardo, al nostro Cardinale e a me, piace pensare che ogni Sezione Diocesana AMCI, con il suo Presidente voglia presentare all’Ecc.mo Vescovo Ordinario della Diocesi, la proposta di un servizio che investa il medico come “Ministro Straordinario della Santa Comunione” e, se del caso e dopo la dovuta preparazione, anche quella di Diacono. Sarà il Vescovo a valutare la proposta secondo le esigenze pastorali locali. 

  1. Migliorare la realtà sanitaria

Un secondo aspetto i medici cattolici desiderano presentare: riguarda il progetto di deospedalizzazione e di domiciliazione della sofferenza, anche sul versante del fine vita e della morte: questi percorsi, da tempo sono ormai delegati agli ospedali o alle RSA, essendosi molte famiglie affrancate da questi obblighi di accompagnamento.

Le RSA e gli ospedali esistono e sono un bene da tutelare, difendere e migliorare: in questo periodo sono stati in molti a puntare il dito contro queste strutture. In molti hanno sparato a zero su queste martoriate RSA, diffondendo l’idea che si trattasse di strutture cariche di orrori e di errori. Certamente v’è l’esigenza di trovare risposte alternative e fra queste citiamo, da un canto il loro miglioramento, dall’altro la domiciliazione dell’assistenza, che comunque prevede anche necessari e indispensabili aiuti alle famiglie, che vanno incoraggiate per il concreto sostegno che danno al sistema, ma anche per quello che nel passato hanno fatto, essendo state artefici di splendidi impegni umanitari, assistenziali e medico-sociali.

Al di fuori dell’emergenza è indispensabile che molti percorsi di cura vengano domiciliati attraverso una riorganizzazione dell’assistenza territoriale, soprattutto per quelle malattie croniche/degenerative di non autosufficienza e riservando alle residenze sanitarie solo quelle fasi critiche, onestamente non affrontabili a domicilio.

Le alternative domiciliari sono ineludibili ed indispensabili. Ci rendiamo comunque conto quanto sia importante riscrivere ruoli e dignità del medico di famiglia: il suo ruolo non deve esaurirsi nel tempo più o meno breve che intercorre tra la formulazione di una corretta diagnosi, l’impostazione di una opportuna terapia e la guarigione. Allargare le loro competenze e non ingessarle nella mera interpretazione di percorsi raccomandati da sterili molteplici linee guida.

Compito del medico è prendersi cura del malato e non curare la malattia (Patch Adams). Prendersi cura di tutta la persona, delle fragilità e dei cedimenti, degli eventi esistenziali e di quelli spirituali, quindi prendersi cura dell’ammalato nella sua totalità, senza trascurare la famiglia e ogni fase di possibile conforto al letto del paziente, preferibilmente nel suo domicilio.

Questi riferimenti, indicati per il bene del paziente, si fondano essenzialmente sulla responsabile presenza dei medici e degli operatori sanitari, in grado di formulare clausole terapeutiche, tenendo presente il diritto all’autodeterminazione del paziente, il suo consenso, effettivamente informato, nel quale si intersecano verità e diritto alla libertà decisionale. 

Il paziente non va mai lasciato solo. Occorre curare la sua solitudine attraverso la presenza benevola, umana, spirituale e morale dei medici e degli infermieri.

Alcune domande:

Occorrono più flebo o più conforto? Occorrono più cateteri, più respiratori, più incannulamenti arteriosi? Più c-pap, Peg e nutrizioni artificiali? Sono proprio utili quei tanti prodigiosi, ma a volte inutili e non proporzionati presidi? Oppure è meglio dare risposte umane ed intervenire sul conforto?

L’offerta assistenziale può finalmente transitare dalla semplice cura alla “care”, ossia al prendersi cura della persona nella sua globalità?

Occorre concentrazione ed aumento di posti letto nelle RSA o più umanizzazione per tutti? 

Il potenziamento della medicina di base è una necessità strategica irrinunciabile!

A mio avviso l’etica dell’accompagnamento è l’unico strumento valido che abbiamo per contrapporci al morire “tecnicizzato”, “proceduralizzato”, “medicalizzato”.

Il recupero della dimensione umana e spirituale del morire decisamente si oppone ad ogni strategia che nega la morte.

La persona deve essere ascoltata, esprimere i propri sentimenti, aiutata a comprendere la sua condizione, e questo aiuto deve essere proposto proprio da coloro i quali ricevono insistentemente domande sul significato della sofferenza.

Chi fa domande pretende una risposta di senso, anche in un’ottica spirituale!

Il medico o l’operatore sanitario che spende una parola buona riscopre l’anima e questa riscoperta dà più senso alla sua missione che così si trasforma in vero e proprio sacerdozio.

Il medico e gli operatori sanitari devono essere aperti all’ascolto delle parole ultime e riscoprire quella dimensione religiosa che oggi sembra essere perduta.

Molti colleghi impegnati nelle aree Covid e nelle RSA, ma anche molti di quelli che lavorano a domicilio, ci hanno sollecitato e chiesto lumi su come accompagnare al meglio questi pazienti, afflitti dal dolore, affranti dalla solitudine, relegati al totale isolamento, specie sul versante del fine vita e nel transito verso la morte.

La realtà dei fatti, è sotto gli occhi di tutti: senza medicina di base le emergenze diventato catastrofi. Abbiamo percepito che in alcuni casi i non autosufficienti non hanno ricevuto adeguato conforto morale, c’è stata semplice cura e non sollievo della sofferenza o sollievo morale: in sintesi si ritiene debbano essere potenziati i servizi di attenzione all’anima e alla spiritualità dei malati.

I medici cattolici propongono il loro progetto “SCEGLIERSI PER RINNOVARSI”. Scegliersi per affrontare i molti problemi, per sciogliere i nodi critici connessi al mondo della sofferenza. Il precipuo loro compito è quello di far conoscenza della concretezza della vita quotidiana. Così facendo i medici cattolici potranno rinnovarsi per sostenere le fragilità, aiutare la vita, far scoprire le sue sorgenti, far percepire l’ospitalità dell’amore e la custodia della sofferenza. I medici cattolici sono disponibili a trasformare le residenze sanitarie assistite in realtà di ospitalità e accoglienza, “amorevoli ospizi”, nel senso più ampio del significato.

Dai medici cattolici “di prossimità”, dalle organizzazioni sanitarie definite territoriali, la Chiesa e la società possono ricevere edificazione e testimonianze preziose ed irrinunciabili contributi, nonché disponibilità all’ascolto, anche delle famiglie, ascolto che rappresenta ineludibile esigenza per conoscere e comprendere le tante situazioni difficili, faticose, direi spesso ustionanti (nel senso che lasciano segni e cicatrici indelebili).

Ci si augura che la famiglia torni a promuovere la cura della salute, preferibilmente a domicilio, ma deve essere aiutata a sostenere quelle pesanti conseguenze, causate dalla sofferenza, nel pieno rispetto della dignità, soprattutto di quanti disabili e cronici sono malati e fragili.

In questo contesto tutti i medici, ospedalieri e non, docenti universitari e ricercatori, medici di famiglia e medici del comparto privato, territoriali e consultoriali convergano tutti sul primario obiettivo di essere testimoni esemplari di gratuità e di dedizione: possono esprimersi più di altri su quel intenso “soffrire mondiale” che è stato oscurato per essere meno percepito, e mi riferisco alle sofferenze psichiche, a quelle dei diversamente abili, alle malattie inattese e gravi, alle lungodegenze e alle malattie dei migranti.

Vorremmo ricordare a tutti i colleghi che si è medici sempre e che anche i medici pensionati posso svolgere un ruolo peculiare, proprio perché, in relazione alla loro grande esperienza, possono con maggiore facilità essere dispensatori di saggezza, di suggerimenti, di consigli, estremamente utili soprattutto se associati ad una più intensa vicinanza alle famiglie.

La loro vocazione per l’uomo e la loro missione per l’umanità, completamente libera dalla rigidità delle regole di mercato e affrancati dalla burocrazia, possono aprire la via per una ritrovata solidarietà ed operosità nell’essere portatori di speranza, valore quest’ultimo assolutamente ineludibile, soprattutto quando si devono dare risposte concrete alle malattie, alle devastazioni, alle angosce e alla solitudine.

Vista la nostra insistenza sulle alternative domiciliari, taluni hanno fatto presente che potrebbe esserci il rischio di cedimento delle famiglie e anche il pericolo che intervenga una stanchezza assistenziale in un momento in cui si impongono livelli superiori di qualificazione. In realtà  è proprio in questi contesti che la loro presenza deve farsi prossima, reale e vivace, soprattutto se il sistema welfare familiare continuerà ancora a non funzionare. 

I medici cattolici potrebbero istituire – sul territorio – le scuole di prossimità, che possono anche essere aiutate da web connessioni.    

È tema questo da poter sviluppare nelle conferenze organizzative, assemblee pre-congresso elettivo, dal momento che ne devono essere programmate due.  

In sostanza i medici cattolici, in questo tempo così convulso e complesso, vogliono riproporre il Vangelo della sofferenza nelle famiglie: medici e famiglie, insieme possono diventare soggetti di una comunità che ama e serve la vita.

Su questo fronte occorrerà lavorare intensamente perché in realtà esistono rischi di abbandono e si intravedono percorsi di rottamazione sociale e reali spinte pro-eutanasiche sempre più pressanti.

Per una medicina, che sia anche medicina del conforto, occorre fondante sostegno alle famiglie che in questo momento sono state completamente abbandonate, lasciate sole e per nulla sostenute.

Finita la pandemia, se non saremo stati capaci di rispondere ai quesiti posti all’origine di questa riflessione, davvero saremo stritolati ed emarginati nel dinamismo economico della globalizzazione. Se non saremo stati capaci di attivarci e se la politica non si risveglierà, proponendo una riforma indispensabile del sistema sanitario e del welfare delle famiglie resteremo esposti agli abusi di tanti poteri, incluso quello giudiziario, vittime di una organizzazione che continuerà a funzionare malamente, priva di qualsiasi ciambella di salvataggio. 

Nel chiudere questo messaggio sento il bisogno di ringraziare, anche a nome vostro, il nostro caro Card. Edoardo per il sostegno e per ogni suo consiglio, che davvero aprono straordinarie opportunità di rinnovamento dell’Associazione: il coniugare la propria formazione scientifica con quella spirituale certamente ci offrirà più fini capacità relazionali e ci farà essere testimoni di una medicina elaborata a 360° rivolta al rispetto dell’unitotalità della persona cristiana.

Filippo M. Boscia

Presidente Associazione Medici Cattolici Italiani