Domenica 14 febbraio 2021

Rito ambrosiano

(Luca 18,9-14)

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Commento

L’evangelista Luca, a più riprese, nel suo vangelo mostra che la fede, che ci fa entrare nel regno di Dio, è l’architrave di una porta che ha come stipiti la preghiera e l’umiltà. Senza preghiera la fede muore di asfissia, senza l’umiltà cresce in presunzione.

In questa breve parabola troviamo due modelli di fede e di preghiera.

Da una parte il fariseo, che sembra rivolgersi a Dio, in realtà non fa altro che pregare davanti al proprio io. Egli è sicuro della propria bontà, e dall’alto di questa posizione giustifica se stesso e condanna gli altri. Già qui possiamo chiederci, ma se ti senti a posto, che bisogno c’è di condannare gli altri? O la condanna degli altri è necessaria per la propria purezza? Quindi introduciamo un elemento conflittuale. A margine vorrei fare una osservazione, che potrebbe essere contestata, ma che vale la pena di discutere. Il fariseo era un uomo religioso. Oggi la sua posizione è facilmente assunta dalle persone che si dichiarano non religiose. Alcune delle quali non vogliono essere giudicate in nessun modo, ma si sentono autorizzate a giudicare gli altri, e con la massima severità. Quindi l’ipocrisia è un patrimonio comune!

Dall’altra parte troviamo il pubblicano, che, sentendosi lontano da Dio e non potendo confidare in se stesso per la coscienza delle numerose violazioni della legge, si accusa e invoca perdono.

Il senso della parabola è il seguente: tutti noi dobbiamo riconoscere di essere farisei che hanno nell’intimo la qualità del pubblicano. In altre parole, dobbiamo riconoscere le nostre contraddizioni, la nostra infedeltà alla legge di Dio. Può darsi che abbiamo anche grandi ideali di bene, ma nella realtà, concludiamo poco. Se operiamo questo riconoscimento e preghiamo come il pubblicano, solo allora si fa verità in noi e la nostra preghiera diventa autentica.

Un’altra suggestione della parabola è quella di rammentare la figura di Zaccheo il pubblicano, nella cui casa Gesù è entrato per portare la salvezza. Ciò vuol dire che Gesù vuole entrare in casa mia, ma può entrarvi solo se ho la stessa umiltà del pubblicano e prego come lui.

Infine, non possiamo dimenticare che la parabola ci ricorda la cura di Dio verso gli emarginati, verso coloro che sono considerati dai nostri occhi come persone di poco valore. Agli occhi di Dio nessuna persona è di poco valore.

Rito romano VI del Tempo ordinario

 (Marco 1,40-45)


In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Commento

Ecco un lebbroso. Un uomo che secondo il pensiero comune è incompiuto, sbagliato, che non è come dovrebbe, senza senso, un fallito. Forse uno che ha sprecato il dono, come tanti ce ne sono che buttano via la propria esistenza. In ogni caso un uomo escluso dalla comunione con il popolo e con Dio.

I rabbini consideravano il lebbroso come morto e la sua guarigione improbabile come la risurrezione.
v 41 – Mosso a compassione (splagchnistheis) forse sostituisce un più probabile adirato (orgistheis). Quindi è meglio leggere: Gesù adirato disse lo voglio.
Perché adirato? A noi forse piace di più mosso a compassione. Gesù è certamente indignato per l’emarginazione dei lebbrosi. Ma ci può essere anche un’altra ragione:
il lebbroso ha usato una forma ipotetica nel chiedere la guarigione: se vuoi … che sottintende forse tu non vuoi. In questo caso la sua vera lebbra non è quella fisica, ma è quella di pensare che neppure in Gesù vi sia amore per lui.
Con un gesto sorprendente, Gesù lo tocca e, in tal modo, per le regole ebraiche, diventa lebbroso anche lui. La guarigione coinvolge intimamente Gesù. Egli non solo vuole guarire il lebbroso, ma si fa lebbroso anche lui. Subito la lebbra sparì …
Gesù è brusco con il lebbroso, vuole fargli comprendere che Dio ha in serbo ben altro che la guarigione fisica, che è solo un dono, ma dono ancora più grande è l’amicizia di Dio.
La notizia si diffonde, Gesù diventa un emarginato perché è lebbroso, ma, proprio per questo, vengono a lui tutti gli emarginati della regione.
Gesù è venuto a prendere contatto con la nostra lebbra. È sceso nell’abisso degli uomini.
Noi tutti possiamo accostarci a lui, senza timore. Ecco la buona notizia.

Non dimentichiamo che Gesù contesta e abolisce le regole sociali che si rivelano ingiuste e disumane, aspetto che deve coinvolgere profondamente noi cristiani.

Buona domenica a tutti

Don Michele Aramini