L’eccessivo uso di farmaci oppioidi negli Stati Uniti

Tra leggerezza e incompetenza

di Ferdinando Cancelli

Pochi giorni fa a Boston, attraversando la strada e attendendo al semaforo del passaggio pedonale, mi sono imbattuto in un piccolo annuncio incollato a un palo della luce. Le parole «overdose» e «oppioidi» non potevano non attirare la mia attenzione di medico palliativista e ho così benevolmente costretto il nostro gruppo di amici a rallentare il passo per attendermi.

«L’overdose di farmaci è la prima causa di morte accidentale per gli adulti», recitava il cartello. «Se conosci qualcuno che sta usando gli oppioidi prescritti come terapia del dolore o l’eroina — si leggeva poco sotto — sappi che costui può essere a rischio di overdose. Impara a riconoscere un’overdose e a sapere cosa fare, le tue azioni possono aiutare a salvare una vita». Con un po’ di apprensione mi sono detto: «Ma come? È una vita che in Italia Paese ci battiamo per diffondere la cultura dell’uso degli oppioidi per combattere il dolore e contrastare la dispnea alla fine della vita e qui, nel civilissimo e per noi quasi mitico Massachusetts del General Hospital e della Harvard University, le cose stanno così?». Pareva proprio di sì. In fondo all’annuncio spiccava l’immagine di una siringa di naloxone, un potente antagonista degli oppioidi usato per trattare le situazioni di sovradosaggio, e l’offerta da parte della Boston Public Health Commission di corsi gratuiti per la prevenzione dell’overdose e per l’apprendimento all’utilizzo del naloxone.

Nemmeno il tempo di rientrare nella mia camera e mia moglie mi mostra un numero del quotidiano «The Boston Globe», quello del 28 marzo. In prima pagina spicca un titolo che parla di «epidemia» dell’abuso di oppioidi in molti Stati dell’unione. Sono 1099 i morti nel 2015 solo in Massachusetts, 47.055 nel 2014 negli Stati Uniti, come dire 125 morti al giorno. Un numero impressionante di visite ospedaliere se si considerano anche i pazienti che, pur non morendo, chiedono di essere visitati. Tali visite, raddoppiate tra il 2007 e il 2014, incidono in modo più che significativo sul budget della spesa sanitaria e hanno spinto la Massachusetts Health Policy Commission a redigere un recentissimo documento, scaricabile gratuitamente on line, al quale si rifà interamente l’articolo citato. La lettura dello studio rivela il problema in tutta la sua ampiezza e drammaticità.

I più colpiti sono i giovani tra i 16 e i 35 anni e, tra questi, i poveri e i disoccupati sono quelli che più facilmente passano da comuni molecole come l’ossicodone, utilizzate per calmare dolori di varia natura, all’eroina, molto più a buon mercato ma decisamente più pericolosa. Il dottor Alex Sabo del dipartimento di psichiatria del Berkshire Medical Center a Pittsfield, una delle città più colpite, sottolinea come l’alto grado di stress psicosociale e le difficoltà economiche di chi non riesce più a stare al passo di uno stile di vita sempre più sfrenato siano alla base dell’utilizzo smodato di farmaci.

Purtroppo il fenomeno colpisce anche vittime del tutto ignare: tra il 2004 e il 2015 il numero di neonati dipendenti da oppioidi perché colpiti dalla neonatal abstinence syndrome è aumentato di 5 volte. Perdita di peso, stress respiratorio, difficoltà nell’alimentazione, tremori, irritabilità e pianto, diarrea, crisi epilettiche: questi i segni della sindrome alla nascita. Il New York Times riportava proprio in questi giorni l’intervento di Barack Obama a un summit sull’abuso di farmaci ed eroina. Il presidente degli Stati Uniti, ricordando come tale fenomeno causi più morti degli incidenti stradali, auspicava un cambiamento radicale di rotta anche da parte delle autorità sanitarie.

La Food and Drugs Administration (Fda) ha annunciato di voler stampare sulle confezioni dei farmaci oppioidi alcuni chiari avvisi della pericolosità di un abuso e alcuni Stati stanno pensando di introdurre ulteriori limitazioni per i medici che prescrivono tali sostanze. Quel piccolo annuncio è stato una finestra su un mondo per ora apparentemente lontano da noi. In Italia l’uso di oppioidi è ancora a livelli bassi, troppo bassi per un Paese occidentale che spesso utilizza per sedare il dolore alte dosi di farmaci nocivi per lo stomaco e per i reni quali gli anti-infiammatori non steroidei (Fans). L’utilizzo di oppioidi secondo le linee guida, a partire da quelle dell’Organizzazione mondiale della sanità, resta infatti una pietra miliare nell’assistenza ai pazienti gravi o morenti ed è privo di rischi e ben tollerato se fatto secondo prescrizione medica. L’esperienza americana fa dunque riflettere e invita a un atteggiamento equilibrato e prudente, non diffidente ma nemmeno superficiale o erroneamente liberista. Il corretto utilizzo di strumenti preziosi ma potenzialmente a rischio richiede una seria preparazione e una grande professionalità.